www.visitaitri.it

 


            
© I T R Iaspetti magico – religiosi nei fuochi di S. Giuseppe.

                                                          di *Crescenzo Fiore

     

                                                                                                                                            

La notte del 19 marzo, festa di S.Giuseppe, la cittadina di Itri è“in fiamme" enormi falò, in onore del santo, ardono nelle piazzette principali, ed altri fuochi di più modeste dimensioni sono sparsi un po’ dappertutto. Così il popolo festeggia S. Giuseppe”Patrono della Chiesa universale”(Pio IX, 8 dic.1870). Si tratta di una evidente manifestazione della religiosità popolare, la quale ha fuso, attraverso secoli e percorsi intricati, aspetti della più lontana religiosità arcaica con la nuova religiosità cristiana. E’ in virtù di questo sempre rinnovato movimento di sincretismo, di cui ovviamente il popolo non conserva nessuna specifica memoria storica, che giungono sino a noi riti antichissimi i quali, pur conservando i tratti evidenti della loro arcaicità sono ormai saldamente inseriti in un quadro di credenze originarie. In tal modo i riti antichissimi del fuoco si sono intrecciati, nella festa itrana, con il culto popolare di S. Giuseppe.

Nonostante che i riti tendano, per una loro interna economia, ad accentuare la fissità dei loro tratti costitutivi, non reggono la sfida del tempo, in particolare quando sono inseriti in contesti culturali con una dinamica storica fortemente accelerata.

In casi del genere la stessa tradizione popolare, pur conservando l’essenziale, in alcuni punti si sfrangia mentre in altri si arricchisce di nuovi elementi e considerevoli varianti. E’ il caso, questo, della festa itrana dei fuochi di S.Giuseppe.

Innanzitutto bisogna prendere atto dell’assenza di qualsiasi rigorosa documentazione storica, il che implica, evidentemente la impossibilità di valutare, sul piano dello sviluppo storico, sia la persistenza che il variare del rito del falò. L’assenza di documentazione storica comporta, al fine di disporre del minimo materiale necessario a descrivere il rito, l’uso privilegiato degli informatori, ma l’impiego esclusivo di informatori implica non pochi problemi: in primo luogo quello della memoria.

Non c’è informatore che non giurerebbe, in perfetta buona fede, che il rito è antichissimo, ma da qui a stabilire, anche solo approssimativamente, la reale antichità della festa dei fuochi, la distanza è davvero grande. Inoltre, non bisogna dimenticare che gli eventi sociali producono notevoli slittamenti della memoria, e la prima metà di questo secolo con le sue due disastrose guerre ha stravolto assetti sociali, consuetudini antiche, abitudini e modi di pensare. Non si può non tener conto di tali profonde modificazioni allorché si prende in considerazione la “memoria storica” di una comunità. Ed infine si deve tener presente che la utilizzazione di diversi informatori implica diverse memorie, anche se tutte si adagiano sullo stesso canovaccio si moltiplicano gli elementi aggiunti e le varianti.

Le notizie che abbiamo raccolto permettono di ricostruire, nelle sue linee essenziali, la festa dei fuochi.

Una ventina di giorni prima delle ricorrenza s’incomincia ad accatastare la legna  nelle piazzette di quartiere. La raccolta della legna è affidata essenzialmente ai ragazzi e ai giovani, il ritmo della raccolta si intensifica mano a mano che ci si avvicina al giorno della festa, e raggiunge la sua punta più alta nella notte precedente l’accensione dei fuochi.

Nonostante che la raccolta della legna sia affidata ai giovani la partecipazione è collettiva: nessuno si tirerebbe indietro davanti alla richiesta di un po’ di legna per aumentare la catasta. In una delle varianti raccolte ci è stato riferito che ciò che viene offerto dalle famiglie al rituale fuoco collettivo sarebbe”l’ultima fascina”. Su questo particolare dell’ultima fascina, vale a dire l’ultima legna disponibile, ritorneremo in seguito quando cercheremo di comprendere il senso del rito.

Nel tardo pomeriggio del 19 marzo s’accendono i fuochi, e la gente si raccoglie intorno per ammirare e valutare la “grandezza del fuoco”: giovani di quartieri diversi si “spiano” vicendevolmente per rivendicare la vittoria del “fuoco più grande”. Mano a mano che le fiamme diventano meno violente, ci si stringe intorno ai fuochi, si chiacchiera e si mangia assieme: le zeppole di S. Giuseppe, un piatto composto da diversi legumi, salsicce.

Riguardo al cibo. In un’altra versione, anticamente le famiglie più ricche offrivano un banchetto: “In Sicilia, in Puglia e in Abruzzo usano(o almeno usavano fino a pochi anni addietro)il banchetto o invito di S.Giuseppe, cioè un pranzo a cui le famiglie benestanti invitavano i poveri e li servivano; tre degli invitati rappresentavano la Sacra Famiglia”.

Infine, quando è rimasta soltanto la brace, i ragazzi si cimentano nel “salto del fuoco”, ultimamente si è perso l’usanza del salto rituale del fuoco e solo alcuni lo ricordano come uno dei tratti costitutivi della festa dei fuochi.

Oltre alle notizie che abbiamo raccolto è utile riportare due brevi interventi dell’insigne folclorista Paolo Toschi proprio riguardo la festa itrana, questi interventi aggiungono altri elementi al materiale sopra esposto:

a)  Nel giorno di San Giuseppe”i ragazzetti di Itri che per ischerzo, appiccano fuoco alla stoppa delle vecchie canocchie mentre le nonne filano”.

b)  “Enorme cataste di legna, raccolte per devozione, vengono accese ai crocicchi e nelle piazzole dei paesi(per esempio, nel Lazio a Itri) e quando stanno per spegnersi, i ragazzi vi saltano sopra gridando:”Evviva S.Giuseppe con tutte le zèppole appriesse!”.Riguardo la prima notizia riportata dal Toschi, cioè lo scherzo di dar fuoco alle canocchie, nessuno se ne ricorda , come pure va scomparendo il "salto del  fuoco".

 

 

1.2 Un rito antico.

 

In quell’opera monumentale, che comunque la si voglia giudicare ha costituito una “miniera” e un saldo punto di riferimento per tutte la cultura antropologica del 900 rappresentata dal “Il ramo d’oro “, J.G. Frazer, a proposito delle feste del fuoco, scrive:”Da tempo immemorabile i contadini d’ogni parte d’Europa hanno usato accendere dei falò, i così-detti fuochi di gioia, in certi giorni dell’anno, ballarvi intorno e saltarvi sopra. Vi sono testimonianze storiche nel medioevo sull’esistenza di questi usi e forti prove intrinseche dimostrano che la loro origine si deve cercare in un periodo molto anteriore alla diffusione del Cristianesimo.

Anzi le tracce o prove della loro esistenza nell’Europa settentrionale ci vengon date dai tentativi dei sinodi cristiani del Secolo VIII di abolirli in quanto riti pagani”.

Per rafforzare le prove che il rito affonda le sue radici in un passato antichissimo, J.G.Frazer sostiene, e non senza ragione, che “anticamente vi fossero davvero bruciati degli esseri umani”. D’altra parte l’usanza dei falò di primavera è attestata in gran parte dell’Europa. Volendoci limitare alla documentazione raccolta ne’ “Il ramo d’oro”, possiamo ricordare le Ardenne Belghe, la Germania, la Svizzera e il Lussemburgo. Anzi, nelle Ardenne si ripete un identico tratto della festa itrana: “una settimana o due prima del cosiddetto ‘giorno del gran fuoco’ i bambini vanno di podere in podere a raccogliere legna da ardere”.

Non ci sono dubbi che le feste dei fuochi appartengono alle feste calanderiali.

In particolare , esse sono legate al passaggio fondamentale dalla crudezza dell’inverno al risveglio della primavera. Il fuoco si presenta nella sua doppia veste simbolica. Da un lato esso rappresenta la distruzione di tutto ciò che angoscia la comunità(la fame, la malattia, la morte)ed è per questo che sui roghi spesso bruciano fantocci e streghe di paglia o l’effige della Morte; dall’altra il fuoco si presenta come rigeneratore per eccellenza:”…il fuoco è considerato promotore della crescita dei raccolti, e del benessere dell’uomo e delle bestie, o positivamente stimolandoli, o negativamente stornando i pericoli e le calamità che li minacciano da cause come tuoni e lampi, incendi, golpe, muffa, insetti, sterilità, malattia e, non minore delle altre stregonerie.”

Vedremo meglio di seguito come questa ambivalenza(distruzione o rigenerazione)sia uno dei tratti specifici del fuoco e del suo simbolismo. Gaston Bachelard ha reso magistralmente l’ambiguità di fondo del fuoco.” Tra tutti i fenomeni è veramente il solo che possa ricevere in modo così chiaro i due valori contrari: il bene e il male. Splende in paradiso. Brucia all’inferno. E’ dolcezza e tortura. E’ cucina ed apocalisse. E’ gioia per il bambino che è tranquillamente seduto accanto al focolare; tuttavia punisce ogni disobbedienza quanto si vuol scherzare troppo da vicino con le sue fiamme.E’ benessere e rispetto.

E’ un Dio tutelare terribile, buono e cattivo. Può contraddirsi: è dunque una dei principi di spiegazione universale.”

Dunque, senza alcun dubbio, nella economia del nostro discorso il fuoco precede il Santo.

Per questa ragione bisogna scegliere di indagare prima le “tracce del fuoco” e dopo i segni del Santo”. In tal modo si configureranno due costellazioni originariamente separate, sulle quali sarà possibile innestare la domanda: per quali ragioni e attraverso quali percorsi il Santo e il fuoco si sono”legati”?.

 

*Laureato in Sociologia - Docente di Antropologia culturale e Storia delle religioni presso l'Università Pontificia - Gestisce l'Università per la terza età con sedi a Roma e Formia.  

 Autore di numerose pubblicazioni tra cui:

-  Teoria critica della soggettività(con F. Sepe)- La Critica sociologica - 1979

-  I Nuovi Monaci - ed.Feltrinelli - 1982

-  I Filosofi e la religione nella Grecia antica - Fabbri ed.- 1984

-  Il Sorriso di Afrodite - ed. Vallecchi - 1987... 

 

 

I contenuti e le foto di questo pagina possono essere parzialmente utilizzati per uso di studio e ricerca, citando la fonte.

©Pino (Giuseppe) Pecchia

© www.visitaitri.it

pecchiapi@tiscali.it

 

vai a Collaboratori