www.visitaitri.it

IL BOSCO ROSSO

(Quattro storie di tragici eventi accaduti a Fondi nei primi 50 anni del XX secolo)

 

*********

A coloro che si interessano alla mia attività di ricerca storica, non dovrà apparire strano se, dopo aver scritto di tutto e di più su Itri, questa volta leggeranno di avvenimenti che riguardano la mia città natale, Fondi. Quest’ultimo lavoro conclude la mia attività di appassionato di Storia patria, che mi ha visto girovagare per Archivi di Stato e Biblioteche nazionali alla ricerca delle fonti per meglio narrare fatti e circostanze del territorio Aurunco. La recensione - prefazione al libro è del passionista p. Giuseppe Comparelli, teologo, saggista e giornalista. La chiave di lettura del libro è nella sua recensione, che riporto di seguito. P.P.

 

Recensione – (Il Bosco Rosso)

  p. G. Comparelli

Questa ultima fatica di Pino Pecchia ha voluto sollevare un velo da un angolo rimosso della storia di Fondi: una vicenda di crudeltà omicida tra pastori che vivevano fuori della città e fuori anche dei comuni valori civili e cristiani che da sempre hanno caratterizzato la comunità fondana.

Pino ha motivo per affermare questa tacita rimozione perché anch’egli, con la sua gente, avverte nel disgusto etico il vivo contrasto tra quello che appartiene e quello che è estraneo al diario della propria identità. Sotto questo aspetto è un vero peccato che non abbiamo notizie documentate sulla reazione cittadina per quanto successe a Selva Vetere. I servizi dei giornali del tempo e gli atti del processo sono tutti centrati sugli sviluppi del delitto e sono valutati nel quadro della legge e nell’aula del tribunale. Ma come commentavano i cittadini di Fondi quella terribile tragedia?

È innegabile che qualcosa di veramente folle dové operare nella mente di Vincenzo Antonio De Silvestri. La difesa sottolineò ripetutamente che l’efferata sequenza del crimine obbedì ad una provocazione passionale che oscurò la mente del giovane pastore.

Gli ingredienti delle grandi tragedie d’amore c’erano tutti: la rude bellezza della giovane Driade, l’amante respinto, il delitto che placa con la vendetta ciò che non poté con l’amore, la fuga avventurosa, la lunga latitanza. È come l’esecuzione di uno schema sinistro e scontato: la cieca gratificazione di aver legato per sempre a sé, con la morte, l’amata che non deve essere di altri. Un’ebbrezza di vittoria e di conquista: o mia o di nessuno. Estrema dichiarazione di possesso d’un istinto arcaico e belluino.

L’analogia con quanto andiamo deplorando in questi anni è spontanea, e la parolaccia che si è coniata, femminicidio, non rende bene l’arco delle motivazioni in un contesto, pressoché premoderno, che deve calcolare qualcosa di primitivo, ma anche di romantico in questa vicenda: la fanciulla bellissima, selvaggia e repulsiva, il pastore innamorato e violento, l’ostacolo sociale che porge un movente eroico al protagonista, dettagli delle grandi narrazioni di sempre e ormai non più simultaneamente attuali.

Non meraviglia che D’Annunzio si interessasse a questa storia, che ai suoi tempi fu cronaca, e che ne abbia fatto un argomento delle sue pagine, meraviglia che non ne abbia colto l’intensa drammaticità, ponendola in bocca alle sue dame, in un salotto denervato, che ne sfiorano il racconto tra sigarette e complimenti reciproci, in distanza dal fatto umano, quasi una citazione letteraria.

Oggi commentiamo queste cronache, tristemente frequenti, con diverso atteggiamento, ci sembra più un segnale statistico, forse un’emergenza sociale, non un reclamo di vuoto morale. Oziose sedute televisive, talk show e processi lungamente condotti, tra esperti e giornalisti che mai chiariscono come il nostro indiscusso progresso civile giunga a questa forma di autodistruzione. Tutto ruota su aspetti di cronaca, descrizione, interviste, pareri, null’altro che la corteccia dei fatti. Il criminologo, lo psicologo, più assuefatti degli altri, non dicono perché questa successione di stati d’animo, oggi, ha bisogno di uccidere.

Anche questa pagina lascia la domanda inevasa per passare al seguito del libro di Pino: un dolente frammento autobiografico con cui rivisita una rapida e tristissima successione di attimi che hanno segnato per sempre la sua vita fin dall’infanzia.

Fondi, pieno centro, a qualche anno dal termine della guerra. Un camion carico di munizioni si ferma tra la gente, con sovrana incoscienza dei responsabili, sotto un implacabile sole agostano, a disposizione di una pericolosa temperatura. La deflagrazione che ne consegue semina morte e panico intorno. Pino perde la sorellina e rimane ferito. Anche il suo animo è ferito e gli è rimasta per sempre la traccia di quel giorno funesto. Non conviene proseguire.

Più che indovinato, allora, il titolo: Il bosco rosso, un bosco d’alberi con fiamme omicide, e un bosco di persone con un tardivo fuoco di guerra. Con questo lavoro Pino chiude una trilogia storica nel segno del tragico confronto col male. Gli altri due lavori hanno affrontato l’occupazione francese agli inizi dell’ottocento con la resistenza di Michele Pezza; e poi il luttuoso tumulto di Itri nel 1911 che vide uccisi tre operai sardi. Pino ha scritto anche di altro, ma non con questa intensità di motivazione e di ricerca. Qui ha operato una ricognizione premurosa per i segreti della propria terra, quasi a difenderli da falsari e profanatori.

Non è raro, in quelli che si occupano di ricostruzioni storiche, un culto quasi religioso per gli eventi passati, per quel fondo irraggiungibile che questi mantengono e che resta un malioso richiamo investigativo.

Ora Pino si congeda dai suoi lettori col merito di aver portato alla luce una piccola parte di quella città sepolta che è la storia muta della memoria civica, quando non è, oltre il patrimonio degli archivi, quella gola profonda del perduto e dell’ignoto. E non senza un ammaestramento perché, tra deplorazione e rispecchiamento, noi recitiamo l’eterna aspirazione al bene, oltre i conflitti della vita.

                                                                     p. Giuseppe Comparelli p.p.

******

“IL BOSCO ROSSO” di Pino Pecchia, (la storia di quattro tragici eventi accaduti a Fondi nei primi cinquanta anni del XX secolo), edito da ArtiGrafiche-Kolbe - Fondi- è un lavoro puntuale e dettagliato; fedele ai fatti accaduti e “capace di emozionare”.

L’Autore ha reso visibile eventi tenuti, a lungo, nell’ombra; ha parlato al cuore dei Fondani ( e non solo) con un eloquio fluido, ricco di riferimenti e aderente alla realtà storica!

Attraverso documenti inediti, scava nel passato, illuminandolo e consegnando alle nuove generazioni una bussola per conoscere ciò che è stato e affrontare, con determinazione, il presente.  

                                                                                        Giulia Rita Eugenia Forte

Fondi, 14-12-2023

*Responsabile dell’Archivio Storico della Memoria della Città di Fondi.

 

Il Periodico d'informazione CONFRONTO ha riportato a pag. 34, n° 360 del  marzo 2024 con il titolo "Incontro con l'Autore PINO PECCHIA", l'articolo che segue, con foto d'archivio.

 

 

 

 

 

 

 

I contenuti e le foto di questo sito possono essere parzialmente utilizzati per uso di studio e ricerca, citando la fonte.

©Pino (Giuseppe) Pecchia

© www.visitaitri.it

pecchiapi@tiscali.it

 

vai a presentazione