Fra' Diavolo  (Michele Pezza)

 

      

 

 

Michele Pezza detto Fra' Diavolo 

 

     

      Era mezzogiorno, quell’ 11 novembre del 1806, quando Michele Pezza, alias Frà  Diavolo, entrava nella leggenda: morte  per impiccagione. La   sentenza, scaturita da un veloce processo, nonostante l'appassionata difesa di un principe del foro del tempo, l'avv. Francesco Lauria, pose fine, a soli 35 anni, ad una vita a dir poco "avventurosa".

    La madre  lo diede alla luce, secondo di dodici figli, in una casa situata nel centro storico d’Itri. Altri nomi vennero dati al neonato, come era d'uso nei tempi andati. Così che, al momento del rito cristiano "don Francesco Iudicone,   battezzò [...]" un maschio nato alle ore 10 del 7 aprile del 1771 da Francesco Pezza  e da Arcangela Matrullo cui furono imposti i nomi  di  Michele Arcangelo, Domenico, Pasquale". Così risulta dal registro dei battezzati al n. 509 della Parrocchia di S. Maria Maggiore d’Itri, chiaramente in latino. A romanzare la vita di Frà Diavolo sono stati in tanti, rendendogli un cattivo servizio; le notizie qui riportate si rifanno a dati e fonti attendibili, e trovano riscontro anche nel carteggio del colonnello Pezza depositato presso l'Archivio Nazionale di Parigi. 

  

 


La Fanciullezza

   La  fanciullezza di Michele trascorse probabilmente come quella di tanti ragazzi  della sua età, in un contesto sociale modesto... Il padre, mulattiere, svolgeva anche un piccolo commercio di olive ed olio nei paesi viciniori. Non doveva essere un bambino tranquillo. Il motivo di una certa irrequietezza, dimostrata intorno agli 8-10 anni, fu la causa di quel nomignolo che avrebbe sostituito il suo nome e sarebbe stato pronunciato negli anni a seguire con terrore, paura e rispetto dagli abitanti del paese, dalle truppe d'invasione francesi, dai regnanti di Napoli e dai loro alleati inglesi. Si dice che una malattia, fu la causa di una vestizione a mo' di fraticello, malattia, non proprio benigna, dalla quale il "nostro Michele" si salvò. Il "voto" a S. Francesco di Paola, che la madre aveva "sciolto". Si ritrovò con un piccolo saio addosso (fino a completa usura) e per i compagni fu fra' Michele. Ma non doveva essere dello stesso parere il canonico Nicola de Fabritiis perché di fronte alle continue intemperanze del fanciullo che gli era stato affidato, spazientito, trasformò il nomignolo bonario dei compagni in quello di" frà diavolo".

 


                      I Primi 25 anni                            

 

      Il giovane, cresceva forte nel fisico e con un atteggiamento molto spavaldo benché di statura tozza. Si faceva "rispettare", insomma. Menar le mani rientrava spesso nelle sue abitudini, ma niente di più. Un giovane come tanti di quel tempo. Il lavoro di "bastaio", che faceva presso la bottega di un certo mastro Eleuterio terminò in modo drammatico.     

           Non sono poche le voci che scrittori e popolo ci tramandano. Ad esempio la morte di Eleuterio Agresti e del fratello Francesco, causate da un atteggiamento non proprio riguardoso verso una ragazza cui forse teneva. Altri parlano di una rissa, in cui persero la vita due cugini, tali Di Mascolo, che si risolse in un duello rusticano, ma dove l'aggredito sarebbe stato lui. La causa scatenante fu comunque sempre l’onore. Dalla  spavalderia alla violenza, complice l'ira, il passo deve essere stato breve. Fu così che a venticinque anni Michele Pezza voltò pagina: nasceva in quel momento "Fra' Diavolo".

     La macchia, il vivere di espedienti, i furti commessi con sbandati come lui, a cui, si dice, si fosse aggregato. Fu un periodo nero per le popolazioni di queste terre.  Michele Pezza n’era veramente coinvolto?  E qui l'interrogativo è d'obbligo. Perché nei due anni di macchia, (qualche autore parla di lavoro come  garzone  a Campello, dove bosco e macchia non mancavano di certo) non  è dato sapere con certezza se sia stato predone o grassatore. Ci sono stati tramandati racconti di crudeltà e di generosità. Ma se l'appellativo di "Brigante" (francesi in primis),  che ricorre nelle cronache dell'epoca e di molti che di lui hanno scritto, sia giustificato, non ci sentiamo di scriverlo. Perlomeno non nell'accezione e nel significato che nel tempo questo termine ha assunto.

   


Soldato e Guerrigliero

 

Ma gli venne in aiuto una risoluzione reale, la scelta di tramutare in servizio militare (13 anni) l'eventuale pena per i reati commessi, grazie all'intervento dei   familiari. Questa possiamo considerarla la seconda fase, la più complessa, della vita di Frà Diavolo. Il nostro personaggio si trova proiettato  in un momento storico, che ne esalterà tutte le doti di combattente che faranno di lui il più amato dal popolo tra i sudditi di Re Ferdinando IV di Borbone e il più temuto avversario delle truppe francesi.

     Ma andiamo con un certo ordine e con notizie che dovremo, purtroppo, sintetizzare. Michele Pezza, a seguito della clemenza, fu aggregato al reggimento "Messapia" che operò nello Stato Pontificio dopo l'effimero successo della presa di Roma. Fu coinvolto nella ritirata precipitosa causata dalle scarse capacità militari dimostrate dal Generale austriaco Mack, voluto al comando delle truppe borboniche da Ferdinando, contro la volontà dell'alleato Nelson.

    Championnet, comandante delle truppe francesi, mise in fuga l'esercito di Re Ferdinando e Frà Diavolo riuscì a riparare ad Itri. Qui comincia l'avventura del guerrigliero più famoso della storia partenopea. Risponde al proclama del Re che incitava a resistere contro i francesi in nome di Dio, della famiglia, della propria terra. Organizza una massa armata tutta sua, grazie al denaro versato dai paesi intorno a Itri. In un migliaio risposero all’appello, persino un medico; per Frà Diavolo, il più era fatto. Capisce che ci sono possibilità di combattere per quello che lui pensa sarà il vincitore.  

 


L'invasione francese 

         Il fortino di S. Andrea, nel dicembre del 1798, divenne il luogo dove le tecniche di guerriglia istintivamente adottate, risaltarono le sue doti di coraggio. Alla testa della banda, costituita da gente del luogo, attaccò l'avanguardia dell'esercito francese infliggendo perdite e rallentando il loro ingresso a Itri e quindi verso Napoli. L'uccisione del padre, ad opera delle truppe polacche al seguito dei francesi,  nel gennaio del 1799, rese Frà' Diavolo più duro e spietato verso le truppe d'invasione.    

            Accadde che l'attentato a due dragoni spagnoli in località Santo Spirito scatenò l'ira dei francesi, tre squadroni comandati da Rey e Dabrowski, con base a Mola di Gaeta (Formia) marciarono su Itri mettendola a ferro e fuoco. Furono uccise circa sessanta persone, come risulta dai libri dei morti violenti degli anni 1799-1844 dell'archivio parrocchiale di S.M. Maggiore e quelli del 1799-1839 di S. Michele Arcangelo. Tra l'altro le truppe francesi, acquartierate a Itri per un certo tempo, commisero ogni sorta di violenza nei confronti della popolazione; saccheggiarono anche  parte del tesoro del Santuario della Madonna della Civita. L'abilità di una nobildonna del luogo, nella cui casa si era insediato il comandante dei soldati francesi, riuscì ad occultare una parte del tesoro al momento della consegna che lei stessa restituì al Santuario successivamente.

     Nel 1799 l'esercito francese marciò verso sud, fece seguito la prima delle fughe del Re a Palermo. Le truppe francesi occuparono la regione; nasce così la breve Repubblica Napoletana che, non riuscendo ad avere l'appoggio delle masse popolari e servendosi  solo delle truppe francesi, fallì politicamente. Determinante fu l'azione del Card. Ruffo che, in nome della Santa Fede, sbarcato in Calabria, dopo aver arruolato migliaia di uomini, marciò su Napoli spalleggiato dagli inglesi. Finì in un bagno di sangue che portò sul patibolo i vari sostenitori degli ideali repubblicani, da Caracciolo fino alla Sanfelice, ultima a salire sul patibolo l'11 settembre del 1800, oltre ad un migliaio di persone che in odore di fede giacobina furono uccise nei modi più atroci. Vincenzo Cuoco esaminando la situazione del regno di Napoli nel “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799” argomenta sui fattori, prima e dopo, che portarono al fallimento della rivoluzione:” Se il re di Napoli avesse conosciuto lo stato della sua nazione, avrebbe capito che non mai avrebbe essa né potuto né voluto imitar gli esempi della Francia;… La nostra rivoluzione essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo di condurla a buon fine  era quello di guadagnare l’opinione del popolo. Ma le vedute de’ patrioti, e quelle del popolo non erano le stesse: essi avevano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse…” Vero che Frà Diavolo si tenne fuori, Napoli per lui significava in quel momento amore.

     Nel periodo della breve Repubblica Napoletana, il Re era in esilio a Palermo. Non mancavano in “Terra di lavoro” sacche di resistenza contro i soldati di Napoleone. E chi, se non Frà Diavolo, poteva essere a capo degli "insorgenti"?. Rispose prontamente al proclama del Card. Fabrizio Ruffo che tra l'altro, concedeva amnistia per reati commessi in precedenza. Gli uomini a sua disposizione in poco tempo raggiunsero le 6000 unità, organizzate con medici e cappellani militari. Michele Pezza non riusciva a controllare tutto le nefandezze, uccisioni e ruberie dei suoi uomini. Frà Diavolo lasciava fare, o forse gli sfuggivano di mano  gli uomini più sanguinari che, a sua insaputa, seminavano  morte e terrore?

     Certamente tutto servì ad ingigantirne la fama. Le sue gesta colpirono l'immaginario collettivo, non solo delle popolazioni, ma anche dei francesi. A Napoli repubblicana, entrava di nascosto sia di giorno sia di notte. Cercava di tenere i collegamenti con i realisti,  per il ritorno di Ferdinando sul trono. Ma un altro motivo, questa volta di cuore, lo spingeva a rischiare tanto; si era innamorato di una bella ragazza, tale Fortunata Rachele di Franco. L'incontro  con il capitano Tomas Troubridge, ufficiale della marina britannica, voluto dalla regina Carolina che, da Palermo, continuava a tessere trame per il ritorno della monarchia a Napoli, gli dette una nuova patina di onorabilità che seppe sostenere, suscitando un buon interesse nell'inglese. L'assedio di Gaeta rientrava nell'accordo preso con Troubridge.

 


L'assedio di Gaeta

E l'assedio di Gaeta, gestito in prima persona con le sue truppe a massa, in un’ atmosfera variopinta come riportano le cronache del tempo, fu per Frà Diavolo il trampolino di lancio per consolidare il suo carisma di uomo forte e leale alla monarchia. Tuttavia l'assedio, gli causò una grande amarezza. Fu estromesso, il giorno della capitolazione della roccaforte, dall' entrare in Gaeta. I francesi accettarono la resa, a condizione che fossero  Nelson ed i rappresentanti del regno a condurre la trattativa.   

  Il Card. Ruffo colse l'occasione che da tempo aspettava per scaricarlo e gli intimò di farsi da parte. Il Re, peraltro, sostenne la tesi del porporato, era meglio che non partecipasse all'occupazione, riconoscendo però, in una lettera inviata a Ruffo, l'apporto dato alla causa e di servirsi in avvenire ancora di lui, riconducendolo però ad una maggiore disciplina. E i meriti sarebbero stati riconosciuti. Era il primo segno della legittimazione. L'amarezza fu addolcita con il matrimonio celebrato in Sant' Arcangelo all'Arena il 15 agosto del 1799 con la giovanissima (18 anni) Fortunata Rachele;  era passato appena un mese dalla restaurazione.  Pochi giorni con Rachele e il 20 agosto partì con i suoi uomini alla volta dello Stato Pontificio  comandava l'ala sinistra  dell'esercito borbonico che doveva liberare Roma dai francesi. Lo zampino di  Ruffo non mancò nemmeno questa volta. Gli mise  a fianco, nel comando, due ufficiali e due contabili governativi, ma Frà Diavolo non vi diede peso, non sopportava proprio il Cardinale. Al momento degli ordini, sotto Roma avrebbe fatto come sempre di testa sua. Re Ferdinando però non dimenticò il suo fedele suddito e il 24 ottobre nominò Michele Pezza Colonnello dell'esercito borbonico con 2500 ducati di rendita  ormai era fatta. Al giovane bastaio di Itri   era riconosciuto il suo valore di comandante e di combattente.  

 


I fatti di Albano

 Giunse a Velletri, sollecitato dalla sconfitta rimediata dal capo massa Marchese G.B. Rodio ad opera dei francesi, fra un tripudio di folla che lo acclamava come liberatore; ciò riporta don Pellisseri, sacerdote antigiacobino del luogo, nel suo libro che narra di quei giorni. Nella zona dei castelli avvennero fatti molto gravi. Anche qui la caccia al giacobino, o presunto tale, provocò uccisioni e grassazioni di ogni genere, da parte dei suoi  uomini. Frà Diavolo annullò in un sol colpo  tutta la fama che si era conquistato. Fece giustiziare il sindaco di Albano, Angelo Bianchini, per un futile motivo. Mancava il vino sulla tavola di un pranzo da lui organizzato. Ne fece le spese chi vi era preposto, il Bianchini naturalmente. Un gesto, questo, scaturito senza dubbio dalla irascibilità che lo investiva, se contraddetto. Gli atti di come si svolsero i fatti sono descritti in un opuscolo scritto dal Patriarca di Venezia Cardinale P. La Fontaine nel 1932; sette testimoni, sotto giuramento, davanti al notaio Pietro Donati in Albano raccontarono i fatti, che risultarono essere precisi anche nei particolari. Perché questa precisazione ? Un motivo solo.  Ritengo il gesto, al di fuori delle azioni di guerriglia, comunque valutabili, una macchia, difficile da cancellare. Tutti quelli che cercano di considerare Michele Pezza in quel contesto storico una componente di primo piano per la causa borbonica, stigmatizzano quel fatto. "Oh ! Se Michele Pezza fosse stato pronto ad ascoltare ragioni e i sani consigli, lento nel sentenziare e lesto all'ira; non si sarebbe reso due volte di sua mano omicida né avrebbe mandato al supplizio un gentiluomo innocente e benemerito" Così termina, rivolgendosi ai congiunti, il Patriarca di Venezia La Fontane, discendente del Bianchini. E l'invocazione mi sembra più che giusta. La fucilazione del sindaco di Albano fu l'inizio di una serie di guai che ebbe come conseguenza l’arresto, che portò il Colonnello Michele Pezza nella fortezza di  Castel Sant'Angelo. Cacciati i francesi da Roma, stanchi delle ribalderie  e saccheggi dei suoi uomini e dagli atteggiamenti che assumeva nei confronti dei militari di carriera, fu arrestato ad Albano dal Maresciallo De Bourcard e dal Generale Ventimiglia. La fuga dalla prigione fu rocambolesca. Poteva essere altrimenti ? Tra mille peripezie giunse a Palermo. Solo i sovrani potevano in qualche modo tirarlo fuori dal processo a lui intentato e così avvenne. Complice fu anche la restituzione di un anello con le iniziali di  Maria  Carolina. Fra’ Diavolo afferma che gli fu consegnato da una donna a porta S. Giovanni (Roma). Ne richiese la consegna De Bourcard. Secco il rifiuto di D.Michele:” si volea fare un preggio di consegnarlo colle proprie mani alla Maestà della Regina”. E la sovrana, sempre affascinata dalle gesta del Colonnello Pezza, gli e lo donò.

 


Seconda invasione francese

 

   Passata la burrasca del  processo, iniziò per il Colonnello Pezza un periodo di relativa tranquillità. Fu nominato Comandante del Dipartimento di Itri.Trascorreva il suo tempo tra Napoli ed  Itri spesso assillato dai creditori che avanzavano denaro per la fornitura di salmerie ai suoi uomini durante l'assedio di Gaeta. Cause di vario genere gli rendevano la vita molto movimentata. E in quel periodo Rachele gli diede tre figli Carlo, Ferdinando e Maria Clementina.  Ma questo periodo di tranquillità durò poco .

    Napoleone Bonaparte infastidito per non aver rispettato un trattato di neutralità, decise di inviare le sue truppe nel regno di Napoli, per mettere fine al governo borbonico di Ferdinando IV. Le truppe francesi non impiegarono  molto a discendere la penisola e ad occupare Napoli e le varie piazzeforti del regno. Il re intanto, per rinforzare i ranghi del suo esercito, emanò un proclama per il reclutamento di volontari. Come per la chiamata del '99, il Colonnello Pezza rispose con prontezza, arruolando come poteva uomini di tutte le risme e fu nominato capo dei Corpi Volanti di Terra di Lavoro. Entrò in contatto con il comandante della piazzaforte di Gaeta, che non si era arresa ai francesi. Philippstahl e Frà Diavolo iniziarono una collaborazione attiva (finita male) che divenne l'incubo di Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone I, nominato Re di Napoli. E Ferdinando ? Come sei anni prima, prese la via di Palermo.

  Frà Diavolo iniziò allora una guerriglia quasi privata contro le truppe del Generale Massena. In Gaeta entrava ed usciva a suo piacimento, attaccava i francesi con le tecniche di guerriglia a lui usuali, infliggendo perdite e smacco ai comandanti dei reparti impegnati. Ancora una volta il suo nome correva di bocca in bocca. Giuseppe Bonaparte cercava di rabbonire Napoleone nei suoi dispacci. Il "corso" pretendeva la cattura di Frà Diavolo "chef de brigands", così lo chiamava. Ma la fortuna che  aveva assistito Michele Pezza fino allora stava per voltargli le spalle.

    Qualcosa era cambiato nella popolazione amica. Una delazione permise ai francesi di attaccare la truppa di Frà Diavolo, infliggendogli  pesanti perdite. E in quel momento, preludio al declino, che si scrollò di dosso ogni scrupolo e si scatenò con indicibile ferocia, distruggendo paesi, imponendo riscatti, saccheggiando a più non posso, ordinando esecuzioni sommarie, sempre in nome del Re. E stranamente la stella di Don Michele Pezza ricominciò a brillare. 

     Dopo una scorribanda nello Stato Pontificio, scelse Sora come quartiere generale per le sue truppe. Non riuscì a tenere la difesa della città attaccata da tre colonne dell'esercito francese. E furono lutti e saccheggi, senza contare le indicibili violenze che subirono gli abitanti, le donne in primo luogo.

( Era il primo atto, per queste terre, di un dramma che ebbe il suo epilogo nell'ultimo conflitto a causa delle truppe di colore marocchine al seguito dei francesi, alleati, dell'esercito di "liberazione")

Molti componenti la “massa”, da sempre considerati pendagli da forca, non trovarono e non trovano giustificazione per le loro azioni brigantesche. Vi può essere però giustificazione per gli orrori commessi nei confronti della popolazione civile nella prima e seconda invasione francese nelle nostre terre? Certamente no! E per  la distruzione sistematica di chiese, arredi, libri e materiale della nostra memoria storica, quale giustificazione trovare? Ritengo accozzaglia anch’essi. Si potrà obbiettare che le armate di Ruffo e le azioni dei  lazzari, scarpitti e truppe a massa non sono state da meno nel seminare distruzione e morte. Essi difendevano le loro terre contro gli invasori e i loro simpatizzanti. Tuttavia, sicuramente in modo discutibile.

 


 

La fine

       Frà Diavolo continuò le sue scorribande anche dopo la capitolazione di Gaeta. Era diventato un vero incubo per Giuseppe Bonaparte che arrivò a comunicare a Napoleone l'impiccagione del Pezza per mano dei Borboni  a Palermo.

 La causa di tanto fu il coinvolgimento del Colonnello in traffici per permettere ai francesi di entrare in Gaeta e sorprendere la guarnigione. Voci sparse ad arte dal Ministro di Polizia Saliceti. Gli invasori le tentarono tutte! Ma lui, l'uomo più ricercato del regno con una taglia che raggiunse i diciassettemila ducati, riuscì da solo a tenere in scacco le truppe napoleoniche. Non doveva essere poi tanto stupido!  Era guerriglia, feroce fin che si vuole, ma guerriglia. Ed i Borboni gli furono ancora vicini con aiuti in denaro. Non vollero credere  alle maldicenze mosse ad arte nei suoi confronti. Molti autori parlano del titolo di Duca di Cassano concesso da Re Ferdinando a Michele Pezza. Ma mancano fonti certe.

       Giuseppe Bonaparte tentò una nuova carta. Chiamò, al comando di un reparto di diecimila uomini, un giovane maggiore di nome Sigisbert Hugo appena trentatreenne. La reputazione, il maggiore, se l'era fatta combattendo azioni di guerriglia in Vandea e fu l'uomo giusto. Si mise subito alla caccia di Frà Diavolo, ma non ebbe molta fortuna perché quando sembrava vicino al contatto, questi faceva perdere le tracce. Fu individuato per puro caso. Fu avvistato  da una colonna nemica nei pressi di Campobasso, luoghi inusuali per lui. Hugo intuì le mosse del suo nemico, verso il quale incominciava a nutrire una certa simpatia. Le truppe del Colonnello Pezza furono decimate, a stento riuscì a salvarsi dopo un' azione disperata. Con un ultimo stratagemma riuscì a beffare i francesi, assente Hugo rimasto ferito in uno scontro a fuoco. La considerazione dello stesso crebbe nei confronti del suo nemico: egli ne ammirava l'audacia e l'astuzia. I fuggitivi erano meno di una decina  e Frà Diavolo disperse questi fedelissimi, sperando di raggiungere il Tirreno e chiedere agli inglesi, che stazionavano sulla costa, un imbarco per Palermo. Rimasto solo, ironia della sorte, il Colonnello fu assalito da briganti. La capanna di un pastore fu il luogo del pestaggio ma si salvò perché lo crederono morente. Raggiunse Baronissi, ferito e tra mille difficoltà; non convinse il comandante della guardia nazionale del posto, il farmacista Matteo Barone che lo aveva ospitato nel suo negozio per una bevuta. Venne condotto sotto scorta a Salerno dove riuscì a tenere testa alle domande dei francesi. Fu riconosciuto, però, da un vecchio militare borbonico passato agli invasori, combattente con lui a Gaeta;  fu la fine delle sue gesta. 

 


La Leggenda 

  Il processo, istruito a suo carico con rapidità, si svolse il 10 novembre del 1806. Le autorità francesi rifiutarono la richiesta degli inglesi affinché venisse considerato prigioniero di guerra nonostante questi minacciassero rappresaglie. Lo stesso Hugo, che era stato a trovarlo in carcere, ebbe un netto rifiuto da parte di Giuseppe Bonaparte. I francesi gli offrirono di passare dalla loro parte, rifiutò con sdegno.   

Pur difeso egregiamente, furono respinte tutte le richieste con motivazioni politiche e militari. Fu considerato un delinquente comune. Il verdetto: morte per impiccagione. Il luogo, Piazza Mercato a Napoli. La sepoltura, l'ospedale degli Incurabili. Re  Giuseppe, finalmente, poteva comunicare all'illustre fratello che" Fra' Diavolo è stato giustiziato". Chi pensava che la morte di Michele Pezza  lo avrebbe relegato nel dimenticatoio si sbagliava. I primi a testargli gratitudine furono Ferdinando e Carolina. Una messa solenne nella chiesa di San Giovanni dei napoletani si tenne a Palermo, officiata dall'Arcivescovo Carrano, presenti autorità, l'ambasciatore austriaco, il Principe Leopoldo di Borbone, la guarnigione militare in alta uniforme e un distaccamento di soldati inglesi.

    Le campane di Palermo suonarono lungamente. Un'urna simbolica fu posta di fianco all'altare maggiore, a piè dell'urna con la seguente iscrizione: "Non omnis moriar; virtus post...Affinché io non muoia del tutto; sopravvivi o valore dopo la morte; poiché la gloria impedisce che i forti soccombano: Dica colui che esalta l'onore, la fedeltà e l'arte militare, se a me fu dolce morire per la patria." Altre scritte furono poste sull'architrave del mausoleo, al lato destro e sinistro della porta maggiore, alla base del mausoleo, a tramandare ai posteri le gesta di Michele Pezza, con qualche inevitabile errore tra cui il luogo che gli diede i natali (Itri). Le scritte, dopo i restauri cui la chiesa è stata sottoposta, sono state rimosse. Poco male, la leggenda di "FRA' DIAVOLO" iniziava proprio da quelle solenni cerimonie .

 


 

Conclusioni e Celebrazioni

 Mai si è visto  un" brigante" celebrato così? Passi per i Borboni che di servigi ne avevano avuti parecchi, ma dagli "Inglesi" che di personaggi famosi non erano secondi a nessuno, perché tanto interesse e fiducia ?  E' un interrogativo che dall'11 novembre del 1806, ha prodotto ricerche e scritti fino ai giorni nostri, pro e contro. Certo è che  a ben leggere nei rapporti  militari di quel periodo, dieci anni circa, la parola “ brigante” era all'ordine del giorno, per i francesi naturalmente, e per la stampa che vi si era adeguata. Ma quello era l'unico modo in cui combatteva Michele Pezza, per la sua terra, con coraggio;  senza molti scrupoli, se le circostanze lo richiedevano.  All'ammirazione di un nemico, suo vincitore, Hugo, fece seguito quella  del  figlio, il grande Victor, e quella di Alessandro Dumas. Il musicista Auber il 28 gennaio del 1830 lo consegnava alla storia con un opera (seppur comica) al Teatro dell'Opéra-Comique di Parigi. Erano passati venticinque anni dalla sua morte ma lui restava più vivo che mai "Quell'uom dal fiero aspetto guardate sul cammino. Lo stocco ed il moschetto ha sempre a lui vicino... Innanzi a lui sapete quel che ciascun ripete? Diavolo. Diavolo. Diavolo!" Ed i parigini all'uscita dal teatro fischiettarono allegramente il motivo, decretandone l'immediato successo. Il cinema ai tempi nostri non è stato da meno anche se il personaggio è stato sempre visto in chiave comico-romantica, il che è falso. Anche la TV di stato ha girato a Itri un cortometraggio, inserito nella rubrica "Viaggiando,Viaggiando"   con la regia di Rosario Montesanti con il simpatico Pino Ammendola nei panni di Fra' Diavolo e dell'attore R. Ruggieri in quelli del canonico precettore De Fabritiis, inserito nelle interviste impossibili di Osvaldo Bevilacqua. Forse breve ma veritiero.

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Il Comune di Itri, sua città natale, non è stato da meno. Lo ha voluto ricordare in occasione del 219° anniversario dalla nascita in un convegno che aveva come motivo di discussione " Fra' Diavolo e il suo tempo ". Amministratori locali ne difesero il nome e non fu da meno il pronipote  dott. Michele Pezza suo omonimo. Con una passionalità non comune, difese la memoria dello zio, rifacendosi a studi, ricerche e scritti a cui ha dedicato una vita.  

    Fu presente al convegno un ospite di riguardo Fulco Ruffo di Calabria, che in una nota di ringraziamento al Prof. Del Bove, allora sindaco di Itri, auspicava una mostra permanente […]" in ricordo al Vs illustre concittadino. Viva Itri ,Viva Fra' Diavolo ! " Egli poneva fine quel giorno alle ostilità tra il suo illustre zio, Cardinale  Fabrizio Ruffo e Frà Diavolo. E l’auspicio di una mostra, si è concretizzata nel luglio del 2003 (è disponibile un link) con l’apertura a Itri del Museo del Brigantaggio. 

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Da: "Tra Sacro e Profano in Terra d'Itri" di Pino Pecchia - Arti Grafiche Kolbe - Fondi - 2003 - (tradotto in inglese e francese, anche su questo sito), riveduto e corretto. Dello stesso autore "Il Colonnello Michele Pezza-Protagonista dell?Insorgenza in Ciociaria e Terra di Lavoro - 1798-1806.

                                                                 

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