© TUTTE LE CHIESE DI ITRI

                                                              di Albino Cece

                                                                    Anno 2001

                                        Santuari chiese e Cappelle d'Itri

1-Madonna della Civita/2-Monastero cistercense di S. Maria/3-S. Benedetto o Unnitto/4-S. Cristoforo/5-S.Donato/6-S. Francesco/7-S.Gennaro/8-S.Giacomo di Cazzuno/9-S.Giovanni Ap.ed Ev. in Figline/10-S. Girolamo/11-S.Leonardo/12-S. Lorenzo e S. Nicola di Calvi/13-S. Marco Evangelista/14-S. Martino di Pagnano/15-S. Nicola e S. Pietro di Campello/16-S. Rocco/17-S. Vito/18-Santa Croce/19-S. Lucia Vergine/20-S. Maria degli Angeli/21-S. Maria della Misericordia/22-S. Maria delle Grazie/23-S. Maria di Loreto/24-S. Maria La Bella/25-S. Maria Maggiore/26-Sant'Orsola a SanGennaro/27-SS.ma Annunziata/28-Sant'Agostino/29-Sant'   Angelo/30-Sant'Antonio Abate/31-Sant'Erasmo/32-Santo Spirito/33-S.Stefano.       

        

1- Madonna della Civita

 

Civita deriva dal latino civitas, astratto da civis, cittadino; in origine questa voce significa sia il "diritto del cittadino", sia la "cittadinanza" e non ha il valore di un agglomerato urbano ma quello dell'esistenza obiettiva di una comunità rispetto al pagus; quest'ultimo è una unità amministrativa ma non possiede quell'accentramento urbano che è tipico, invece, della civitas.

Nella toponomastica dell'Italia centrale, dove è situato il luogo, il nome Civita si riferisce ad abitati sorti su monti e colli e, secondo il Giustiniani, sono siti in cui si vedono quasi sempre "avanzi d'antiche fabbriche".

In quest'area, quindi, l'appellativo si origina nel momento in cui la gente s'accorge dell'esistenza colà di antiche fabbriche che - supponiamo con buona approssimazione - vengono poi sfruttate per l'edificazione della chiesa della Civita e delle opere annesse.

C'era il monaco Bernardo[i][i]. Aveva cura della chiesa della Madonna della Civita tenendovi accesa la lampada.

Dietro queste semplici parole del giudice e notaio Gualgano stanno nascoste molte verità. Una chiesa dunque, eretta col denaro dei fedeli; una chiesa frequentata. Vi si celebrava la S. Messa; vi si amministravano i sacramenti.

A poche centinaia di metri dal Santuario, nascosti tra il verde del monte Larigno, ci sono dei ruderi chiamati "la casa dell'eremita".

 

Brevi cenni storici[ii][ii]:

 

Il Santuario della Madonna della Civita è uno dei più antichi d'Italia. Situato a mt. 670 s.l.m. domina la vallata che sbocca a Gaeta da una parte, e Terracina, la piana e il lago di Fondi dall'altra.

È coronato dai monti Lepini e Ausoni. Il pio luogo da secoli conserva, come pre­zioso sacro tesoro, una icona di origine bizantina, raffigurante la SS. Vergine, con le braccia aperte in atto di supplica e il Bambino Gesù benedicente seduto in grembo.

Come tutti i santuari antichi, anche il nostro, ha origini avvolte in un alone di pia leggenda. Durante la persecuzione iconoclasta a Costantinopoli, secolo ottavo, due monaci basiliani vennero sorpresi dai soldati con il quadro della Madonna. Chiusi in una grande cassa insieme al quadro, furono gettati in mare. Dopo vari giorni la cas­sa approdò prodigiosamente a Messina. Qui il quadro fu esposto alla venerazione dei fedeli. Dopo poco tempo scomparve da quel luogo e venne ritrovato sul Monte Civi­ta presso Itri, da un pastore sordo e muto che era alla ricerca di una sua bestia smar­rita. Egli riacquistò l'udito e la parola. Lieto corse in paese a dare notizia del quadro miracoloso trovato su un leccio.

Con più aderenza storica possiamo pensare che l'icona di fattura certamente orientale, attribuita addirittura a S. Luca, raggiunse Gaeta "Bizantina" portata da alcu­ni monaci basiliani che, fuggiti dall'oriente, andavano verso qualche convento del Lazio. Il quadro fu lasciato ai monaci del monastero di S. Giovanni in Figline, i qua­li lo esposero a poca distanza sul Monte Civita, in un eremitaggio appartenente al loro monastero.

 

Notizie archeologiche[iii][iii]

 

Al di là della storia del quadro e dell'immagine della Madonna numero­si sono i quesiti che ancora permangono sulla storia del luogo sacro; quali la storia urbanistica, la ricerca dell'area di diffusione del luogo di culto e quel­lo che come archeologa maggiormente mi appassiona la presenza o meno sul sito di un precedente luogo di culto pagano.

Non mancano segnali in questa direzione; uno di questi è la presenza non lungi dal Santuario di un'antica sorgente Festole che nel nome ricorda la sua origine romana (Fistula).  Nel mondo antico, infatti, i luoghi di culto paga­ni sorgevano presso sorgenti d'acqua, foci di fiumi, laghi, perché veniva avver­tita dalla popolazione la sacralità delle acque.

Un secondo indizio è offerto dallo stesso luogo ove sorge il Santuario della Civita, su di un colle adattato architettonicamente a grande platea sostrutti­va della Chiesa vera e propria. Tale platea sorge come è dimostrato da un dise­gno ottocentesco di Pasquale Mattei su di una serie di ambienti voltati, crip­toportici, successivamente murati esternamente così che oggi non sono più visibili, ma ancora esistenti.

Resta da stabilire con indagini più approfondite, che mi accingo a com­piere, la natura e la datazione di tali ambienti cosi che sarebbe possibile stabilire la data di costruzione della platea sulla quale sorge la Chiesa e acqui­sire un ben preciso terminus ante quem per la struttura originaria”.

 

Notizie diverse

 

Restano alcune altre notizie da dare al lettore su questa località di Civita[iv][iv].

Nell'anno 1147 il giudice e notaio del Castrum Ytri. Gualgano, insieme alla moglie Sikelgarda, donano[v][v] alla chiesa "quae dicitur della Civita seu alio nome de Agie... una petiola de terra,, quae est posita in Agie, et de una disertina de vinea quae est posita in Urbano", cioè donano "alla chiesa che si dice della Civita o, con altro nome, de Agie", un piccolo appezzamento di terreno che si trova nel bosco ed una porzione di vigna che si trova nella zona urbana.

Da questo documento, riportato nelle carte gaetane, ci giungono alcune informazioni fondamentali per accertare la fondazione del Santuario della Civita.

Dal documento si rileva, infatti, che nell'anno 1147:

1.      esiste un monastero di San Giovanni Apostolo ed Evangelista di Felline "che è assai conosciuto" ed il cui abate si chiama Riccardo;

2.      l'abate Riccardo ha "riedificata" la chiesa della Civita, chiamata anche con l'altro nome "de Agie", che resta sotto la sua giurisdizione, ma affidata alle cure del fratello Bartolomeo;

La tradizione parla anche di un eremita, che si prendeva cura di conservare sempre accesa la lampada alla Madonna. A poche centinaia di metri dal Santuario, nascosti tra il verde del monte Larigno, ci sono dei ruderi chiamati "la casa dell'eremita".

Il toponimo Civita è legato esclusivamente alla chiesa e poi santuario della omonima Madonna nè lo abbiamo trovato mai per indicare qualcosa di diverso (un sito, un podere, un confine, ecc.)

Circa una Visita pastorale del 1767[vi][vi], il santuario di S. Maria della Civita, situato a 673 m.s.l.m., è visitato il giorno 11 giugno di quell'anno. Il delegato vescovile alla visita pastorale, d. Bonaventura Calcagnini e il cancelliere sono ricevuti da D. Sotero Cardogna confessore e dagli altri cappellani addetti al servizio della chiesa, di patronato dell'università.

Oltre l'altare maggiore decentemente ornato, ha gli altari dei SS, Antonio abate ed Eleuterio, di S. Maria Assunta in Cielo, della Natività di Gesù Cristo, di S. Francesco di Paola, (i cui ornamenti sono tollerati), tre confessionali e la sagrestia.

Ad istanza dei procuratori della chiesa, si rinnova l'editto emesso nelle visite del 31 maggio 1754 e del 26 maggio 1757, che cioè i sacerdoti di Itri, i quali per devozione o per le messe da celebrare con le elemosine dei benefattori vanno al santuario, non possono starci più di un giorno intero; fermandosi oltre e somministrandosi loro i cibi in danno della chiesa, incorrono insieme coi cappellani ipso facto nella sospensione a divinis.

Nel 1722 (10 novembre) nella cappella o romitorio di S. Maria detta comunemente della Civita ricevono il visitatore due cappellani «perpetuo ibi degentes».

Sull'altare è collocata l'immagine dipinta di S. Maria della Civita «sub crystallo conclusa, sub icona eleganter extructa, labrefacta ex materia lignea auro ornata, et frigiata», tenuta in grande venerazione non solo dagli abitanti di Itri ma anche dai forestieri che vi affluiscono continuamente per impetrare grazie, essendo insignita da Dio del dono dei miracoli «prout patent ex tabellis, aliisque signis pendentibus in parietibus dictae Ecclesiae».

Vi sono inoltre gli altari del Presepe, con le immagini di S. Giuseppe e della Madonna, e di S. Eleuterio[vii][vii].

Vi si dice che la chiesa fu consacrata « et signa in parietibus patent » nel 1491 dal vescovo Patrizi (il noto umanista senese) come da bolla esibita, e il giorno della consacrazione è il secondo di Pentecoste. Ha il peso di 375 messe tra cantate e piane.

Le stanze, in forma di monastero, sono fornite di letti e della suppellettile necessaria per ospitare forestieri e pellegrini, ai quali per liberalità si offrono gli alimenti nello spazio di ventiquattro ore per due refezioni[viii][viii]: notizia che si legge anche altrove[ix][ix].

                                                                      


 

2-Monastero cistercense di S. Maria

 

Il 2 febbraio 1329, l'abate Alessandro con il priore Bernardo, unici componenti della comunità cistercense  "monasterium Sancte Marie de Itro", concedono in enfiteusi  a Nicola di Gerardo di Itri un monte incolto nella località le Valli[x][x].

Viene detto che "monasterium... habeat montem incultum, situm in territorio Itri, ubi dicitur le valli".

Essa è una località attualmente chiamata le Vaglie che è vicina a Scerpeno.  

L'atto è compiuto in un possedimento della chiesa di San Giorgio in Gaeta, ubicato in territorio di Maranola.

In questo documento è contenuta l'unica notizia da noi conosciuta sulla esistenza di un monastero dell'ordine cistercense in Itri che in questo 1329 contava soltanto due presenze, un abate ed un priore. Strano appare pure come l'atto venga redatto presso un terreno sito in Maranola e di proprietà della chiesa gaetana di S. Giorgio. Quali saranno state mai le ragioni di questo trasferimento dei due monaci a Maranola? Forse non lo sapremo mai.

 

 

 

3- S. Benedetto o Unnitto

 

Il Lombardini ci informa dell'esistenza in territorio di Fondi ma prossimo a quello itrano di una Valle di San Vennitto o S. Unnitto (che sta per San Benedetto); così si ritrova anche a San Castrese di Sessa Aurunca.

Egli afferma che "Sant'Unnitto chiamano gli agricoltori della zona una valletta che sbocca su breve altipiano, a ridosso del Monte Vele, in territorio fondano, poco più in là del confine itrano. Vi sono muri di una piccola chiesa (m. 12 x 4 approssimativamente); lì appresso - affermano i contadini - esisteva un piccolo monastero, somigliante a quello della Valle di Fellino sottostante il monte Civita.

Infatti, anche il Cayro ci dice che "San Benedetto, o sia Santo Venditto[xi][xi], si ha tra i benefizi semplici, e si apparteneva ai Casinesi per la Prepositura  di San Paolo della Foresta[xii][xii]".

Assieme a quest'ultimo, Itri contava altri due monasteri benedettini: quello dei Ss. Erasmo e Leonardo, nella valle d'Itri, località Raino (da: Raimo, Erasmo), del quale restano pochi ruderi; e quello di San Lorenzo "de Calvo", del quale conosciamo solo il nome (CDC, 192, 17). Dallo stesso CDC si rileva una presenza fuggevole dei Cistercensi con il monastero di S. Maria presso (sembra) Porta Cea (cfr. CDC, III, I, pag. 68).

Nel 1599, tra i beni stabili della chiesa di S. Maria di "Valle Humana" di Fondi, vengono citati:

-           Item uno campo di tomola otto in circa nel territorio di Fondi se dice Campocasata alla sballata all'incontro di Santa Maria della Civita, iusta le cose di Santo Benedetto, e iusta le cose di Antonio Guzo di Itro, et iusta lo monte inculto di Santa Maria di Valle Humana da doi bande;

-           Item uno campo nel medesimo territorio, dove se dice Santo Venditto di tomola venticinque in circa incluso con la cesa Antonina iusta le cose del vescovato di Fondi, et tutto lo monte inculto quanto acqua riversa verso maqre, et alios fines[xiii][xiii].

Unito alla mensa vescovile di Fondi, troviamo nel 1599, tra gli altri, i benefici della chiesa "Sancti Vennitti... extra muros civitatis Fundanae[xiv][xiv]".

                                                                           

 

 

 

 

 

 

4- S. Cristoforo

 

Ci dice M. de' Spagnolis[xv][xv] che "poco fuori del paese, sul colle San Cristoforo, sorge una antica chiesa dedicata a questo santo.

Essa, raggiungibile solo a piedi o a cavallo seguendo una stretta mulattiera, è oggi del tutto priva di copertura, mentre conserva le pareti e l'abside in ottimo stato.

Sulla parete di sinistra entrando figurano alcune pitture parietali. Di queste alcune mostrano poche tracce di colore, altre minacciano di scomparire per sempre per l'incuria delle autorità preposte alla loro tutela.

Fortunatamente la maggior parte degli affreschi di cui è rivestito un settore della parete sinistra, la parete destra e l'abside, si è conservata, perché nascosta e quindi protetta da uno strato di calce. Una volta che si volesse affrontare, e lo auspichiamo, il restauro di quelle pitture è nostra fondata convinzione, che gran parte degli affreschi sarebbe ancora recuperabile".

Di questa chiesa conosciamo con esattezza l'anno della fondazione. Il CDC (III, CCCCLXXIII) fa riferimento al 19 maggio 1348 a proposito di lettere di concessione rilasciate per l'edificazione della Chiesa di San Cristoforo, in un monticello sottomesso a Sant'Angelo di Itri, ai sacerdoti Pomello e Zivitto nella loro qualità di deputati del Comune.

Il San Cristoforo storico fu martirizzato in Licia, nel 250 d.C., durante le perse­cuzioni di Decio; da allora il suo culto si diffuse rapida­mente e si può senz'altro af­fermare che pochi santi ab­biano goduto di una venera­zione paragonabile a quella che fu tributata a Cristoforo. In suo onore sorsero chiese e monasteri, furono istituiti sodalizi e congreghe, soprat­tutto per aiutare i pellegrini. L'immagine dei santo più dif­fusa nell'Occidente medieva­le è quella che ci ha traman­dato Iacopo da Varagine o da Varazze (sec. XIII) nella sua Legendo Aurea. E' egli infatti a narrare per primo la storia di questo erculeo personaggio, chiamato Reprobus, che in riva a un grande fiume della Licia aiutava i viandanti ad at­traversare il corso d'acqua finché un giorno non gli si presentò un fanciullo che do­po essere stato trasportato sull'altra riva sì rivelò essere Gesù, da cui il nuovo nome di Christophoros, in greco "portatore di Cristo". La fi­gura di questo santo, inscin­dibile dalla presenza di Gesù Bambino, ha ispirato una va­sta iconografia che è rappresentata, da opere su tavola (secc. XIV e XV), tra cui il polittico (1382) di Guglielmo Veneziano, oggi al Museo Diocesano di Recanati; tele (secc. XVI, XVII e XVIII), opere di orefi­ceria, stampe e disegni, testi a stampa esistenti nelle biblioteche stori­che delle Marche. Tra le  forme di pietà e devozione popolare verso San Cristoforo, ricordiamo quella che lo ritiene protettore dei viandanti e oggi patrono degli automobilisti.

E' molto importante per Itri la carta del 19 maggio 1348 con la quale il prete Giacomo Pomello e Zivitto di Itri presentano "apud curiam Itri" (davanti alla curia di Itri) le lettere di concessione rilasciate loro per la costruzione della chiesa di S. Cristoforo[xvi][xvi].

L'atto viene raccolto da "Iohannes de Nicolao iudex castri Itri" e da "Andrea Cimoronus puplicus eiusdem castri regia auctoritate notarius" (Andrea Cimorone, pubblico notaio dello stesso castro per autorita regia), nonchè sottoscritto dai "testes licterati de eodem castro... Petrus domni Andree iudex, Antonius domni Andree de Allerio, Andreas Salvaticus iudex, Petrus notarii Andree"

Altri testi letterati sono notarius Benedictus, Nicolaus Goffridi, Gregorius de Ceccano, Nicolaus notarii Thomasii, Guillelmo magistri Francisi, Petrus Perellus, tutti da Itri.

I pubblici funzionari, corroborati dai sopradetti testi tanto qualificati, hanno registrato come davanti alla curi del castro di Itri, congregata solennemente al suono delle campane "et consilio facente", si sono presentati "discreti viri presbiter Iacobus Pumellus et Zivictus de Itro", incaricati dal vicario vescovile di Gaeta di costruire una "ecclesiam sub vocabulo Beati Cristofori martiris, in quadam monticulo prope Itrum, ubi dicitur supra paratam, ipsamque ecclesiam edificandum, submictendam et subiciendam matrici ecclesie Sancti Angeli de Itro" (una chiesa sotto il nome del Beato Cristoforo martire, nel monticello presso Itri chiamato Sopra Parata, costruire la stessa chiesa e tenerla sottomessa alla chiesa matrice di S. Angelo di Itri).

L'atto prosegue con la trascrizione della licenza che Pomello e Zivitto hanno ottenuto, in data 17 maggio 1348, per costruire la chiesa dal vicario dei vescovo di Gaeta, essendo vacante la sede vescovile per la morte del vescovo spagnolo fra Antonio de Aribandis.

Questa lettera, letta e pubblicata solennemente alla presenza dell'università e del consiglio, ebbe il consenso di "notarius Iacobus Riccardi sindicus Itri" e la costruenda chiesa fu messa cos' in possesso del "venerabilem virum Petrum archipresbiterum dicte maioris ecclesie Sancti Angeli ibi presentem".

Si è trattato, quindi, della costruzione di una chiesa che sicuramente avrà avuto degli importanti antefatti se il prete Pomello il 17 maggio viene facoltato dal vicario vescovile di Gaeta a costruire la chiesa e solo tre giorni dopo  viene riunita la curia, il consiglio cittadino e molte autorità del tempo per proceder all'atto di fondazione della stessa.

Il 27 giugno 1372, Giovanni del fu Antonio de Posis di Itri rinunzia nelle mani dei procuratori di S. Martino ad una "cesam, sitam in pertinentiis dicti castri loco ubi dicitur Sanctu Christoforu, iuxta rem ecclesie Sancti Christofori, iuxta rem Andree Salvatici et alios fines; quam cesam predictus Iohannes asseruit esse iam dicti monasteri Sancti Martini" (una cesa - pezzo di terra disboscato - situata nelle pertinenze del detto castro di Itri nel luogo chiamato Santo Cristoforo, confinante con la proprietà della Chiesa di San Cristoforo, quella di Andrea Salvatico ed altri confini; la quale cesa asserisce il predetto Giovanni essere stata un tempo di proprietà del monastero di San Martino) .

Andrea Salvatici lo troviamo presente con l'appellativo di "iudex" all'atto di fondazione della chiesa di San Cristoforo per cui dobbiamo pensare a qualche suo interesse a voler questa chiesa proprio a ridosso della sua proprietà; oppure è stato donatario del terreno sul quale è stata costruita la chiesa, da solo ovvero insieme ad altri.

Andrea Maggio, priore di S. Maria di Itri, stabilisce alcuni codicilli in aggiunta al suo testamento[xvii][xvii] e ci fa conoscere l'esistenza, al 26 giugno 1363, di alcuni luoghi pii cui destina alcune somme. Tra essi si trova: "item Sancto Christofaro de Itro pro opere tarenos duos"; tra i testimoni troviamo un "Iohannes Salvaticus filius Petri", famiglia che aveva terreni situati attorno alla chiesa di San Cristoforo.

Pubblichiamo qui, integralmente, un nostro speciale studio su questo pio luogo d'Itri, voluto e costruito per volontà congiunta della chiesa e del popolo itrano, come ci appare evidente dalle carte riportate dal Codex.

                                                                      

 

La chiesa di San Cristoforo in Itri

ed il culto del santo levriero

Premessa

 

Abbandonati all’incuria degli uomini, alla furia degli elementi ed all’assalto distruttivo della vegetazione, su un monticello che domina Itri, sono ancora visibili i ruderi della chiesa di San Cristoforo, un titolo questo non ripetitivo ma unico nella dedicazione delle chiese aurunche.

Quale fu la ragione che indusse gli itrani del medioevo a dedicare questa chiesa al santo traghettatore del Bambin Gesù?

A quale devozione particolare dobbiamo l’erezione di questa chiesa su di un colle tuttora inospitale ma adesso facilmente accessibile dal centro urbano d’Itri?

In quale rapporto essa si pone con l’adiacente  ed accogliente grotta detta di San Vito sulla cui piazzola di accesso si notano ancora i resti di una antica cappella dimenticata?

Cerchiamo di affrontare un preliminare di studio su questa chiesa la cui origine e veloce decadenza si presentano per molti versi avvolti nel mistero per gli stessi itrani.

 

Il Santo

 

Una stringata biografia viene riportata da Cappa Bova-Jacomuzzi nell’opera Del Come riconoscere i santi (Sei, Torino, 1993): “Cristofano, di gente cananea, fu d’una lunghissima statura e d’un volto terribile... così la Legenda aurea nell’iniziare a narrare la storia di questo ercole, al quale un giorno si sarebbe presentato Cristo sotto le vesti di un fanciullo per farsi traghettare al di là del fiume. E il mite gigante si sarebbe trovato in un bell’impiccio, perchè quel bambino gli pesava sulle spalle terribilmente, impero ché - gli dirà poi - non solamente hai avuto sopra te tutto il mondo, ma eziandio colui il quale criò tutto il mondo...

Figura probabilmente storica, forse un palestinese di nome Reprobus, convertito dal vescovo di Antiochia, attorno alla quale si sarebbero coagulati elementi leggendari e mitici comuni a più popoli. Stabilitosi in Licia, avrebbe esercitato il suo amore per il prossimo approfittando della sua forza e della sua altezza per aiutare i viandanti a traghettare il fiume. E lì sarebbe avvenuto lo straordinario incontro, dopo del quale prese il nome di Cristoforo (dal greco: portatore di Cristo).

La sua immagine di gigante buono, a partire dal XIII secolo divenne una delle più diffuse nell’iconografia cristiana. Ma nel 452 già una chiesa in Bitinia era stata consacrata al suo culto e, un secolo dopo, un monastero a Taormina”.

 

La tradizione

 

L’iconografia tradizionale rappresenta San Cristoforo col Bambino Gesù in spalla e con un bastone in mano.

La sua festa ricorre il 25 luglio ed è considerato il protettore dei viaggiatori e pellegrini; è invocato contro le morti improvvise, gli uragani, la grandine.

Secondo un exemplum riportato dal frate domenicano Etienne de Bourbon (morto a Lione nel 1261) nel suo trattato sui sette doni dello Spirito Santo, rimasto incompleto alla sua morte, nella regione di Dombers, a circa 40 km. da Lione, si adorava un cane considerato santo e taumaturgo: il santo levriero sotto il nome di San Guinefort.

Ma sin dal 1155 la vicenda del cane santo e guaritore era stata già segnalata dalla letteratura cristiana francese.

Scrive Jean Claude Schmitt nel suo ampio studio storico-etnografico Il santo levriero Guinefort guaritore di bambini: “Vi è però un punto problematico:  almeno dall’XI secolo, San Guinefort era venerato in alcune località della Francia sotto forma umana. La vita di questo santo ripercorre per molti aspetti quella di San Sebastiano (molto noto alla devozione popolare medioevale aurunca); e nella tradizione agiografica proseguita fino ai tempi recenti, questo santo era, in Francia, noto per le sue virtù terapeutiche, dirette in particolare verso i bambini”.

Lo stesso J. C. Schmitt, ritiene che non andrebbe ignorato che vi sono anche altri santi tradizionalmente posti in relazione ai cani, in cui però non si è perso l’aspetto umano e così continua: “Ad esempio San Cristoforo, secondo le versioni più antiche della sua leggenda, che è orientale, era un gigante dalla testa di cane, solito divorare gli uomini sinché non si convertì a Cristo. Iacopo da Varagine lo fa di origine cananea, cioè, secondo l’etimologia, del Paese dei cani. le tradizioni greche parlano di una provenienza dalla Licia e da Licopoli, la città ed il paese dei lupi, ma anche dalla Cinopolitania e Cinopoli, la città e il paese dei cani.

San Cristoforo era festeggiato il 9 maggio nella chiesa bizantina e il 15 luglio in quella cristiana: quest’ultima data corrispondeva a quella in cui la chiesa copta festeggiava San Mercurio, che presenta numerosi elementi comuni con San Cristoforo.

Inoltre, le due date corrispondono, rispettivamente al tramonto della stella Sirio e al suo sorgere nella costellazione del Cane. Nella stessa data e con analogo simbolismo queste feste cristiane sarebbero succedute a feste pagane: in Egitto, in maggio, al culto di Anubis, dio dei morti e testa di cane; il 25 luglio, in Grecia, ala cerimonia delle kunophontes o Massacro dei cani; a Roma, alla stesa data, nel periodo delle acque basse, i cani fulvi sacrificati alla dea Furrina... Il sorgere di Sirio nella costellazione del Cane apre un periodo fondamentale dell’anno: la canicola...Tra le date del 25 luglio e del 24 agosto, che aprono e chiudono il periodo della canicola, si festeggiano numerosi santi che hanno un cane come compagno o sono essi stessi assimilati simbolicamente a cani...”

Numerosi studiosi si domandano se vi sia la possibilità che le credenze legate alla canicola estiva abbiano favorito la formazione di una simbologia legata a diversi santi cristiani. L’8 agosto si festeggia S. Domenico ed il 16 S.Rocco, entrambi legati alla simbologia del cane. Lo stesso S. Benedetto si presenta legato alla simbologia di un serpentello.

Resta in piedi la domanda se la fondazione di San Cristoforo in Itri ha forse qualche relazione con un precedente sito dedicato a Mercurio?

                                                                       

La chiesa di San Cristoforo

 

Si contano oltre venti tra chiese e cappelle edificate sul territorio d’Itri nel corso dei secoli; alcune tuttora attive, altre dirute, altre del tutto scomparse.

Nel medioevo vi fu una massiccia presenza benedettina realizzatasi con la costruzione di tre monasteri maschili ed un altro femminile di San Martino in Pagnano nonché uno cistercense; ai primi del ‘300 fu edificato il convento con la bella chiesa di San Francesco, oggi interamente trasformato in edifici civili.

Della chiesa di San Cristoforo si conosce esattamente l’anno di fondazione poiché il Codex Diplomaticus Cajetanus fa riferimento al 19 maggio 1348 quale data della lettera di concessione rilasciata per la sua edificazione “in un monticello sottomesso a San Angelo di Itri, ai sacerdoti Giacomo Pomello e Zivitto nella loro qualità di deputati dell’università di Itri”.

Numerosi documenti di donazione riguardano questa chiesa per tutto il XIV secolo ma essa scompare alla fine del ‘500 dall’elenco delle chiese itrane, nè documenti posteriori ci offrono sue notizie.

Se ne deduce che questa chiesa ebbe una vita breve forse a causa proprio della sua specifica finalità di costruzione peraltro a noi ignota; una volta venuta meno questa necessità (per esempio, il timore della peste), essa fu abbandonata.

E. De Minicis ha descritto in modo compiuto l’edificio chiesastico ed al suo studio si rimanda per maggiori e più dettagliate informazioni di questo tipo.

A noi, qui, preme entrare in maggiori dettagli circa le motivazioni che furono alla base della costruzione di questa ennesima chiesa in una località allora non agevole ma dominante il territorio itrano e per la quale certamente furono affrontate spese elevate per quel tempo sia per realizzare le opere murarie sia per dotarla di numerosi affreschi interni ed esterni nonché di quanto altro servisse a renderla un dignitoso luogo di culto.

Fatto di rilievo appare come il presbitero Giacomo Pomello e Zivitto di Itri si presentassero al vicario vescovile di Gaeta (in tempo di sede vacante!) per richiedere la concessione di costruire la chiesa esibendo una “delega” in tal senso rilasciata dal consiglio dell’università, del comune di Itri. Parrebbe di capire come se tale costruzione si rendesse necessaria quasi per questioni di “ordine pubblico” e di “pubblico interesse”. Fatti analoghi non si sono verificati, per quanto ne sappiamo, per la fondazione di altre chiese in area aurunca.

Ma è del tutto estranea alla costruzione di S.Cristoforo la presenza cistercense (benedettini di Francia) in questo territorio?

Dallo stesso Codex Diplomaticus Cajetanus si rileva una presenza fuggevole dei Cistercensi con il monastero di S. Maria presso (sembra) Porta Cea.

Infatti, il 2 febbraio 1329, a Maranola, l’Abate Alessandro ed il priore Bernardo “religiosi viri domnus Alexander abbas et frater Bernardus prior et solus monacus dicti monasterii”, costituenti essi soli la comunità cistercense di S. Maria di Itri “monasterium Sancte Marie de Itro, Cisterciensis ordinis”, concedono in enfiteusi a Nicola di Gerardo di Itri un monte incolto nella località le Valli che il Codex identifica nelle attuali le Vaglie, vicino alla più nota località Scerpeno; lo stesso Codex annota sia che il monastero “pare che fosse sito nell’attuale via di Portacea” sia “che è ignoto allo Ianauschek”.

 

Rapporti spaziali del sacro

 

Quale rapporto può trovarsi od esservi tra la chiesa di San Cristoforo ed i bassorilievi e le epigrafi della Porta Mamurra?

Scrive il noto storico locale vivente A. Saccoccio: “Di fronte ad essa (piazzetta di S. Lucia) si apre l’ingresso principale alla città alta per mezzo della scalea e della Porta Mamurra o della Costa, la più antica di Itri, di imponente e notevole linea. A sinistra di chi sale, vediamo la già citata lapide, posta sotto la tavola in pietra raffigurante il serpente di fianco a quella con la testa del mastino. Nel lato destro della medesima porta vi è un bassorilievo stiacciato, raffigurante ancora un serpe ed un’altra testa di cane, di fattura alquanto grossolana, di età barbarica. Senza dubbio l’opera fu fatta dai Longobardi per euritmia, verso la fine dell’ottavo secolo. Lateralmente agli stipiti, vi sono due pietre, una per lato, con delle epigrafi a carattere maiuscolo, tipico della scrittura longobarda-romana. Quella, a sinistra di chi guarda, dice:

CUSTODES SUMUS JTRI NOSTRI

SAEVISSIMI VOBIS

(siamo i custodi della nostra Itri

terribilissimi verso di voi)

che alcuni ritennero di gusto osco; l’altra sul lato destro, un po' posteriore, è coperta, quasi del tutto, dalla muratura di una parete. Riusciamo a leggere:

NUI SEMO BILI. SERPENTES

che traduciamo: noi siamo serpenti a due lingue. Anche la seconda iscrizione fa trasparire la medesima impronta longobardica.”

Il Saccoccio prosegue rifacendosi alle simbologie del cane e del serpente nella mitologia greco-romana per concludere: “Quindi, accertato che i serpenti ed i cani sono simboli di Esculapio, bisogna pensare che ad Itri vi fosse un santuario, dedicato al dio guaritore... Per le ragioni suesposte, proponiamo una ipotesi suggestiva: l’attuale chiesa di S. Michele Arcangelo, che si dice costruita sull’antico tempio di Apollo, dovette essere un santuario dedicato ad Esculapio, il cui culto si sostituì a quello del padre. Quindi si deduce che i bassorilievi non appartenessero alla suddetta porta, ma fossero stati trasportati ivi dalla parte alta del paese, quando, in epoca tardo-romana o medioevale, la religione cattolica soppiantò quella pagana”.

Anche M. de’ Spagnolis è pressoché dello stesso avviso quando scrive: “L’arco superiore è stato tamponato... quello inferiore, reca, ai lati dei piedritti, due rilievi in pietra con cornice rilevata, ciascuno dei quali presenta la raffigurazione di un mostro anguiforme a testa canina, ritratto in posizione araldica. La tecnica di lavorazione del rilievo è quella caratteristica medievale, a spigoli acuti.

Ai lati dei due blocchi citati sono due altri rilievi (anch’essi simmetrici, ma opposti), che raffigurano delle teste di cane con collare e due iscrizioni.... I caratteri epigrafici ci riconducono ad una datazione in età medioevale, il che ben si accorda con la classificazione stilistica dei rilievi.

Se le iscrizioni fanno chiaro riferimento ad una precisa collocazione dei rilievi con serpenti a guardia di una porta, onde si dovrebbe pensare appunto alla nostra Porta Mamurra in cui sono inserite, il fatto, tuttavia, che una delle due iscrizioni sia messa in opera seminascosta da un muro facente parte di una torre circolare coeva alla Porta stessa, induce a supporre che sculture ed epigrafi (certamente in rapporto tra loro), siano state in un primo tempo collocate ai lati di un’altra porta ove erano disposte in maniera conveniente e che, in seguito alla distruzione di tale porta, siano state trasferite alla porta Mamurra, ove ricevettero la sistemazione (non del tutto adeguata) che è giunta fino a noi”. Ci è ignoto il fondamento della congettura del Mattei che sculture ed epigrafi erano state poste in origine nella porta principale del castello, ma vi dissentiamo.

 

Conclusioni

 

Ignota è l’origine sia dei bassorilievi dei mostri anguiformi a testa canina che delle epigrafi ad essi relative.

Gli autori che se ne sono occupati sono però concordi nell’assegnarli ad epoca medioevale sia nel dichiarare che i manufatti furono posti in opera a Porta Mamurra dopo averli prelevati da altra allocazione a noi pure ignota.

Pertanto, Porta Mamurra risulta costruita con materiale di risulta proveniente da luoghi vari e di epoche diverse, romano ed alto-medioevale.

Il materiale alto-medioevale, quindi, proviene da luoghi di certo dismessi o distrutti e sicuramente costituivano simboli importanti per la gente del posto tanto da indurli a conservarne la memoria con la nuova allocazione.

Si ipotizza, quindi, che agli albori dell’epoca più propriamente storica del cristianesimo aurunco sia stato abbattuto ad Itri un culto pagano avente per simbolo il mostro anguiforme a testa canina.

A questo venne sovrapposto un nuovo culto cristiano il più aderente possibile alla simbologia di quello pagano dismesso.

Ecco allora sorgere sul colle situato rimpetto al borgo antico (forse sede di quel culto), la nuova chiesa di San Cristoforo, un santo che, come abbiamo già detto, era provvisto dei concetti mitici (di origine francese) riferiti al cane, mentre la simbologia del bastone di San Cristoforo è bene evidenziata nel mostro anguiforme (serpente itrano).

A mezza costa, sul pendio del colle ove si trovano i ruderi della chiesa di S.Cristoforo, si apre una spaziosa grotta (in cui, durante l’ultima guerra, trovarono ricovero centinaia di famiglie sfollate) accessibile attraverso un’ampia e comoda piazzola ove stanno pure i ruderi di una cappella: il tutto individuato col nome di San Vito (località che esiste anche in agro di Gaeta e di Sessa Aurunca).

La Passio di S. Vito fu redatta nel sec. VII e racconta come questo santo siciliano compisse un’enormità di prodigi fin dall’età di sette anni; condotto a Roma, guarisce dall’epilessia il figlio di Diocleziano (di cui, però, tace la storia), ma subisce il martirio in Lucania; viene invocato contro “il ballo di S.Vito”, cioè la corea ed anche contro i morsi di bestie velenose o idrofobe (serpenti e cani).

E con ciò si chiude quel cerchio ideale della simbologia del cane, del serpente, del guaritore di bambini, del santo bambino guaritore e del santo guaritore cinocefalo.

In realtà, ci troviamo di fronte ai segni di un rinnovamento del culto locale itrano che affonda le sue radici nella mitologia greco-romana rivista e corretta alla luce della cultura benedettino-cistercense medioevale; un modo questo per gestire senza traumi sociali e popolari il trapasso epocale di quest’area dal paganesimo al cristianesimo.

Una volta consolidata la presenza cristiana sul territorio vennero meno le ragioni che spinsero alla creazione di un simile complicato simbolismo religioso per cui la chiesa di San Cristoforo, pur presentandosi ben costruita e vasta, venne presto abbandonata al suo destino.

O forse le immagini di Porta Mamurra (il cane ed il serpente che si rifanno ai due santi) restano per indicare che il territorio itrano è una proprietà spirituale di San Cristoforo e San Benedetto? Se così fosse dovrebbe riscriversi buona parte della storia di questa città[xviii][xviii].

                                                                          

 

 

 

  5- S. Donato

La località S. Donato è situata verso Fondi, ove ora sta il cimitero. Intorno al 1344 un fra Giacomo da Fondi, domenicano, vi esercitava l'ufficio di inquisitore[xix][xix].

Essa viene citato anche nello Statuto quattrocentesco di Itri e tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

Il 1 gennaio 1344, i fratelli Nello e Tamo Ferzone di Itri ottengono da Meolo di notar Giacomo da Pontecorvo, nella sua qualità di procuratore ed economo di maestro Bartolomeo de Nicola di Pontecorvo, tutti i diritti e le rendite e le chiese di S. Pietro di Campello, S. Croce e S. Donato di Itri[xx][xx].

L'atto viene ricevuto a Fondi da "Nicolaus Piczolus Fundorum iudex" e "Laurentius Adenulfi notarius" e da esso risulta la vendita"in extaleum iura omnia, reditus et proventus ecclesiorum Sancti Petri de Campello, Sancte Crucis et Sancti Donati de Itro" per la durata di cinque anni iniziando dal terzo giorno del mese di giugno del 1344 "ad rationem videlicet de unciis novem annatim" da pagarsi in Pontecorvo "medietatem in festo omnium sanctorum ipsorum annorum cuiuslibet uncias quinque et reliquas quatuor in festo Resurrectionis annorum ipsorum hinc ad dictum terminum".

Una carta gaetana del 24 febbraio 1349 riporta i patti nuziali intercorsi fra Goffredo di Giacomo di Ugone e "Petro filio condam Andree de Calvis, de Itro nomine et pro parte Gemme sororis sue et filie predicti condam Andree[xxi][xxi]".

Tra i beni dotali della futura sposa Gemma figura: "cesam sitam in pertinentiis Itri, loco ubi dicitur Sanctus Donatus";

Il 3 maggio 1362 si procede alla permuta di alcuni beni  fra  maestro Leonardo del fu Costantino e tal Giacomo... di Itri[xxii][xxii].

Dall'atto emerge, tra gli altri il seguente toponimo itrano: "... site ubi dicitur Sanctus Donatus".

Il 10 gennaio 1389, la badessa d. Biagia e le monache di S. Martino concedono in enfiteusi[xxiii][xxiii] a Goffredo di Giacomo Giovanni Andrea Gualtiero di Itri "possessionem cum arboribus, sitam... loco qui dicitur Sanctus Donatus".

Il 1 settembre 1398, Bello di Bartolomeo Fannelli di Itri si confessa debitore di sei once d'argento al prete Bello di Andrea Cifuni di Itri, a cui promette di restituirle a richiesta[xxiv][xxiv], ipotecando nel frattempo una sua "poxessionis ollivarum et aliarum... loco qui dicitur Sanctus Donatus, iuxta silicem puplicam...".

Nell'anno 1606 troviamo ancora: luogo detto S. Donato[xxv][xxv].

                                                                            

 

 

    6- S. Francesco

 

Sappiamo qualcosa di questo convento dalla visita pastorale che vi si tenne nel 1767[xxvi][xxvi]

Un oratorio dedicato a S. Gio. Battista, della confraternita sotto lo stesso titolo, si trovava nella chiesa dei PP. Conventuali di S. Francesco, con tre altari.

Secondo la visita del 1722, altare maggiore con l'immagine del santo; due altari laterali, del Crocifisso e della Natività di N. S. Gesù Cristo.

Inoltre, onere di messe la domenica e il venerdì e 26 anni­versari, con le festività dei tre altari, retti per le cose spirituali dai PP. e per le temporali da un procuratore.

I confratelli vi hanno diritto di sepoltura.

Sappiamo dallo statuto itrano, che risale ai primi anni del '400 che Onorato II, conte di Fondi, dimorò un certo tempo dell'anno 1487 nel convento di S. Francesco di Itri, uno dei primi fondati nella diocesi di Gaeta[xxvii][xxvii].

Il Lombardini afferma che nei primi del '300 fu edificato il convento con la bella chiesa di S. Francesco; quello che è rimasto è stato trasformato in abitazioni civili.

Andrea Maggio, priore di S. Maria di Itri, stabilisce alcuni codicilli in aggiunta al suo testamento[xxviii][xxviii] e ci fa conoscere l'esistenza, al 26 giugno 1363, di alcuni luoghi pii cui destina alcune somme. Tra essi si trova: "item Sancto Francisco de Itro tarenos decem et octo pro opere"; è la chiesa francescana di Itri di cui resta oggi soltanto un affresco conservato entro un Mancini nella centrale Piazza Incoronazione.

                                                                               

 

 

   7- S. Gennaro

 

Nell'inventario[xxix][xxix] dei beni immobili della chiesa di S. Maria di Itri, fatto compilare dal priore Giacomo di notar Andrea il 23 giugno 1367 troviamo elencati una serie impressionante di possessi della chiesa nel territorio itrano con i relativi toponimi, tra i quali: "item sedile unum discopertum, situm in burgo predicti castri, ubi dicitur Sanctus Gennarius, iuxta domos Riccardi Mattarelle, iuxta silicem antiquam, iuxta domos heredum condam Iohannis Tanessi".

Il rettore di S. Maria, Giacomo del notar Andrea, concede in enfiteusi[xxx][xxx] a Giovanni di Guglielmo Sinapi, il 31 marzo 1388, una "possessionem olivarum cum quodam monte inculto ipsi poxessioni contiguo male cultum, sitam... loco qui dicitur Sanctus Stephanus" e per comodità del Sinapi che s'impegna a migliorare il fondo, concede anche il "sedile sito in burgo dicti castri, loco qui dicitur Sanctus Iennarius".

I confini del "dicti sedili: iuxta silicem antiquum, iuxta rem Russi de Zolfo, iuxta rem heredum Iohannis Tanessi et alios suos confines".

Garante del contratto di enfiteusi è il prete Giacomo Sinapi "archipresbiteri castri Ambrifi".

Non abbiamo trovato citazioni di una eventuale chiesa dedicata a San Gennaro sul territorio itrano tanto che siamo propensi a credere che tale nome sia stato dato al tratto della antica via Appia che corre verso Napoli cioè verso San Gennaro, patrono di questa città.

                                                                                   

 

 

   8- S. Giacomo di Cazzuno

 

Il 27 ottobre 1393, Erasmo Campellone di Gaeta nomina il suocero Tuzio Merolconlino a suo procuratore per prendere in affitto[xxxi][xxxi] "ad extaleum", per anni cinque, le rendite della molitura delle olive nei montani gestiti dal Monastero di S. Martino di Pagnano e della chiesa o cappella "Sancti Iacobi de Caczuno", sito ai confini del territorio gaetano: "pro pretio... unciarum auri centum et quindecim de gillatis argenti boni et iusti ponderis, sexaginta per uncias computandis, pro omnibus annis quinque predictis".

Poniamo questo toponimo tra quelli itrani perchè siamo in dubbio se si trovasse effettivamente nel territorio di Gaeta ed anche perchè, insieme ai montani di S. Martino, ci fa conoscere una specie di monopolio frantoiano sul territorio da parte di queste due istituzioni religiose.

                                                                             

 

  9- S. Giovanni Ap. ed Ev. in Figline

Donazione Gualgano e del Casale d'Ercole

 

Nell'anno 1147 il giudice e notaio del Castrum Ytri. Gualgano, insieme alla moglie Sikelgarda, donano "alla chiesa che si dice della Civita o, con altro nome, de Agie", un piccolo appezzamento di terreno che si trova nel bosco ed una porzione di vigna che si trova nella zona urbana.

Da questo documento, riportato nelle carte gaetane[xxxii][xxxii], ci giungono alcune informazioni fondamentali, sia per lo studio della fondazione del santuario della Madonna della Civita, che dello scomparso monastero di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista sito nella località Fellino di Itri.

Dal documento si rileva che nell'anno 1147:

1.        esiste un monastero di San Giovanni Apostolo ed Evangelista "che è assai conosciuto";

2.        questo monastero "è chiamato di Felline";

3.        l'abate del monastero si chiama Riccardo;

4.        l'abate Riccardo ha "riedificata" la chiesa della Civita;

5.        la chiesa della Civita è sotto il potere dell'abate Riccardo;

6.        la chiesa della Civita è chiamata anche con l'altro nome "de Agie";

7.        a Felline esisteva un monastero capace, con le proprie entrate di affrontare la spesa della riedificazione della chiesa della Civita;

8.        tale monastero aveva potere e governo almeno su un'altra chiesa del territorio itrano;

9.        la chiesa della Civita, o de Agie, fu affidata, dopo la ricostruzione, alle cure del fratello Bartolomeo;

10.    che la chiesa della Civita era governata dal monastero di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista.

 

Il monastero di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista di Fellino, prima della donazione di Gualgano del 1147, ebbe una precedente donazione nel gennaio 1036: il senatore Leone di Gaeta e la moglie Letizia donarono al monastero "totum et inclitum nostrum casalem qui cognominato ercli. positus in finibus pertinentie itrano (l'intero e integro nostro casale chiamato Erclo situato entro i confini del territorio di Itri), distante da Felline circa due miglia verso occidente[xxxiii][xxxiii].

Da questo atto del 1036, oltre conoscere la condizione dei luoghi del Casale d'Ercole, abbiamo diverse altre informazioni circa la fondazione del monastero:

Da questo atto del 1036 raccogliamo diverse informazioni:

1.      i confini del casale "Ercli": "nel primo lato che è a oriente, confina con le cime dei monti Campello e Calvo, da entrambi i quali scende giù l'acqua; nel secondo lato, che è a occidente, confina con le altre cime dei monti chiamati Corvino e Giubulo detto Erclo, e anche da questi due monti scende giù l'acqua; a settentrione confina con l'altra cima del monte chiamato Utrino, dal quale di nuovo scende giù l'acqua; a mezzogiorno c'è l'altra cima del monte Calvo da cui scende l'acqua, e il rio Corvino";

2.      entro i detti confini del casale vi si trovano: "monti, valli, ruscelli, paludi, muri, fonti, cisterne, argini, pendici, acque perenni, ghiandaie, stagni, tutti gli alberi di vario genere, fruttiferi ed infruttiferi, prati, pascoli, terreni coltivati e incolti, da semina e non da semina, le vie e i sentieri per entrare ed uscire in ogni momento con tutto il necessario, canali e sentieri e tutte le pertinenze";

3.      esiste ed accetta donazioni il monastero di San Giovanni Apostolo ed Evangelista "che si trova in località Filline";

4.      tale monastero "il soprascritto domino Giovanni glorioso console e duca di buona memoria e la soprascritta domina Emilia duchessa e senatrice, coniugi, genitori e suoceri nostri, decisero di erigere ed edificare";

5.      Secondo il Federici, confermato dal C.D.C. questo console e duca di Gaeta deve identificarsi con quel Giovanni che tenne il ducato di Gaeta dal 984 al 1008; il Gattola invece lo identifica con l'altro Giovanni, duca di Gaeta dal 966-967 fino al 978;

6.      poichè l'atto che ci offre questa notizia di fondazione è stato redatto dal figlio, non possiamo sapere se la fondazione stessa sia avvenuta durante gli anni della carica ducale o prima di essa;

7.      possiamo ragionevolmente supporre che nel gennaio 1036 il monastero di Felline potesse contare circa cinquant'anni di vita e che aveva acquistato prestigio sul territorio.

 

La nota b) alla Charta 165 del codice gaetano così si esprime: "Nella Bolla di Adriano IV del 1170, in luogo di 'Filline', dove si trovava il monastero di S. Giovanni evangelista, è citato anche 'Filgine'.

"Circa poi il casale Erclo l'abate G. Gattola lasciò questa nota autografa: <Il suddetto casale o feudo Erclo anche oggi si chiama con questo nome, è delimitato dai predetti monti e confini, la maggior parte dei quali è posseduta dalle chiese di Itri, si trova in una valle e dista dal monastero di S. Giovanni due miglia verso ovest. Il luogo dove c'era il monastero anche ora è detto Fillino, sono visibili le sue vestigia e alcune pitture, ma non si può distinguere ciò che rappresentano, e dista tre miglia dal castello d'Itri; si trova a metà del monte sulla cui cima sorge la chiesa dedicata alla Vergine Madre di Dio, la cui immagine miracolosa è ivi venerata e frequentata grazie alla devozione delle popolazioni che vi convengono>. Queste cose dice Gattola, che ritiene che questa carta sia da considerarsi una copia scritta nello stesso periodo del documento autentico, poichè i suoi caratteri appartengono alla fine del X secolo o all'inizio dell'XI".

Nella bolla di papa Adriano IV del 1158, che conferma e dichiara l'estensione della giurisdizione della diocesi di Gaeta[xxxiv][xxxiv], troviamo, tra le altre: Ecclesiam quoque Sancti Iohannis in Filgire (cioè di S. Giovanni in Filline o Figline) di Itri.

Afferma lo Jallonghi[xxxv][xxxv] che "il monastero - situato alle falde del Monte Sacro tra le colline che declinano verso l'Appia a S. Andrea - è indubbiamente anteriore al 1009".

                                                                           

 

 

     10- S. Girolamo

 

Nella visita pastorale effettuata nella terra d'Itri nel giugno 1767[xxxvi][xxxvi], il delegato vescovile si porta presso la Chiesa di S. Girolamo, beneficio del canonico D. Felice Antonio Caracuzzo, con unico altare, tutta « interius dealbanda ».

Nel 1722 si dice di patronato della famiglia Mascurale, bene­ficiato il sudd. Felice Antonio Caracuppi (sic), il quale dichiara che c'è il peso di 3 messe al mese e che percepisce circa 12 ducati l'anno (1 ducato = L. 4,25 dopo il 1840; si divideva in 5 tarì o 10 carlini o 100 grana).

                                                                             

 

 

    11- S. Leonardo

 

Riportato tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

Il vescovo Riccardo dona, nel 1128, alla chiesa di S. Leonardo presso Itri "parvulam terrulam in valle ytrana positam in loco qui ursanus vel alio nomine rivulus dicitur[xxxvii][xxxvii]" che, ad occidente, confinava con "transitum publicum". Questa chiesa fu costruita dall'Abate Riccardo che potrebbe essere lo stesso di un atto del 1147 dove viene detto abate di S. Giovanni in Figline di Itri.

Della fondazione della chiesa  ci parla P. Cayro nella sua opera[xxxviii][xxxviii] rifacendosi alla sopracitata carta gaetana: "1128 Ottobre. Coll'anno 1128 trovo notata la pergamena, che segue, e con la VII Indizione, come quella, che fu rogata nel mese di Ottobre. Eccone le date cronologiche: Anno millesimo centesimo vicesimo octavo: temporibus Domni Richardi gloriosi Consulis, et Ducis, nec non et Domnae Hemilie gloriose Ducisse conjugis ejus, mense Octobris, Indictione septima, Ytro. L'Indizione VII indica l'anno 1129. Forse fu adoprato il metodo di cominciare l'anno dal Settembre seguente a quello dell'anno comune. Se ne parlerà tra breve. Intanto due interessanti notizie ci vengono disvelate in queste poche parole, cioè quale si fosse la moglie del Duca Riccardo II  e che la medesima fosse stata aggregata a lui nel comando del Ducato Gaetano. Noi con ciò abbiamo la Duchessa Emilia II moglie del Duca e Console Riccardo II, emulatrice della Duchessa Emilia I, moglie del Duca Giovanni IV, renduta partecipe degli onori, e del comando del Ducato Gaetano sotto il Duca Giovanni VI. Il contenuto della carta è, che l'abate Riccardo, e non si dice di qual monastero fosse Abate, avendo fabbricata presso Itri una Chiesa, vi fu invitato per consegrarla Riccardo, Vescovo di Gaeta, il quale la dedicò a Dio in onore del Confessore S. Leonardo, di cui trovo fatta ricordanza nel Martirologio Romano al giorno 6 di Novembre; dell'esistenza di qual Santo non v'ha luogo alcuno a dubitarne. Imperocchè nel calendario de' Santi, che si ha nel Codice ms. della Biblioteca di Monte Casino[xxxix][xxxix] sotto i 6 Novembre vi si legge registrato il nome suo in caratteri rossi, che indicano più distinta solennità. Questo Calendario fu propriamente scritto per uso della Biblioteca di Monte Casino nel secolo XII. E ancora si legge il suo nome, scritto però con inchiostro nero, nel Calendario premesso al Codice ms.[xl][xl] che contiene un Messale ad uso della Chiesa di Monte Casino, scritto nel secolo XI in caratteri Longobardi. Donde può conchiudersi, che in Monte Casino ne fosse celebrata la festa. In vari Codici mss della medesima Biblioteca Casinese vi ha eziandio la sua leggenda, come in quello[xli][xli] scritto in caratteri latini, del secolo XI, nell'altro[xlii][xlii] scritto in caratteri Longobardi del medesimo secolo XI e in quello[xliii][xliii] del Secolo XV. Apparisce da essa, ch'egli visse nel secolo VI in Francia, come potrà leggersi eziandio nelle vite de' Santi composte dal notissimo Baillet, che ne fa parola sotto il giorno 6 di Novembre. In occasione di questa consegrazione il Vescovo Riccardo volendo dare qualche argomento sincero del suo divoto affetto a questa nuova Chiesa della sua Diocesi, e provvederne i bisogni giornalieri con un piccolo dono della sua Chiesa Matrice, cioè cattedrale, ne distaccò una piccola terra sita nel luogo detto Usanno, o con altro nome Rivolo, e l'assegnò in dono alla Chiesa di S. Leonardo. Fa meraviglia, che non vi si legga il concorso del consenso de' Preti, o del Clero di Gaeta, e neppure quello almanco del Duca Regnante. Eppure in altri documenti si è osservato, che il popolo medesimo concorreva col suo assenso a tali alienazioni, le quali non erano solennizzate senza di lui, e senza il consenso del Clero, e del Principe, almeno in alcune circostanze. Forse, trattandosi di piccola cosa, erano i Vescovi nella libertà di disporne, oppure vi fu il concorso del consentimento del Clero, Duca, e Popolo, che dal Notajo non è stato espresso nella carta. Tra' sottoscritti vi si legge un Giovanni de Matrona Dapifer. I sottoscritti erano sempre de' più nobili, e qualificati del Paese. Dapifer significa scalco, cuoco, siniscalco, depositario, refettorario, cellerario. Chi sa che qui non non sia il fattore del Vescovo? Vi è sottoscritto Orso Sacerdote Cappellano, il quale era forse Cappellano del Vescovo, e così si sarà sottoscritto il di lui Dapifero, portatore di vivande, o fattore, e come noi diciamo di questi tempi Maestro di Casa. Era eziandio dignità. Cesario (lib. I, Hist. Cap.) mentova il Dapifero dell'Abate Prumiense, e tra le dignità dell'Impero l'Elettore Palatino del Reno è il Dapifero".

                                                                                

 

 

   12- S. Lorenzo e S. Nicola di Calvi

 

Questa località ci è nota attraverso la lettura delle antiche carte per la presenza sia del monastero di San Lorenzo di Calvi che della chiesa di S. Nicola di Calvi.

 

San Lorenzo di Calvi

 

Pietro Capraro dichiara[xliv][xliv], nel 1111, a Pietro abate del monastero "SS. Trinitatis ad arcu timpano" che la madre già da tempo aveva donato i propri beni al detto monastero: "et in monasterio vestro Sancti Laurentii de ipsi Calbi qui dicitur de grege. Et in Sancto Stefano, et in Palmole, et in Maliana.

Tutte queste località si trovano in territorio itrano; il monastero di San Lorenzo in Calvi, che forse prese il nome dal monte omonimo, dipendeva da quello della SS. Trinità di Gaeta

Alla citazione del monastero di S. Lorenzo di Calvi viene aggiunto "che è detto de grege"; nella impossibilità per noi di dare un significato preciso a questo appellativo, siamo orientati a scioglierlo con "dei greci" o "del greco", significandosi così che questo monastero possa essere o essere stato dei monaci greci. Giustifichiamo questa scelta col fatto che monaci greci erano anche quelli del vicino monastero di S. Giovanni Ap. ed Ev. in Figline.

 

San Nicola di Calvi

 

E' riportato anche tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491, lo troviamo nell'anno 1283: ab occidente habeant terras sancti Nicolai de Calvis[xlv][xlv] e nell'anno 1383: loco qui dicitur Sanctus Nicola de Calbi[xlvi][xlvi].

In una carta gaetana dell'anno 958 troviamo l'abatessa Megalu, figlia di Giovanni patrizio imperiale, che vende al nipote Gregorio, tra l'altro, "anche le terre che comprammo con atto d'acquisto da Leone, uomo onesto, sacerdote e rettore della chiesa di S. Nicola martire di Cristo, e da Leone che veniva chiamato Selvatico, e sua moglie Bona".

La chiesa di S. Nicola, alla quale un tempo apparteneva il fondo sopradetto, si trovava fra Itri e Pico, in un tratto della strada che tuttora è chiamato "Passo di S. Nicola".

Il toponimo Vetera, già citato nel testamento di Docibile del 954, sarà ricordato anche nel 958. Si trovava non lontano da Monte Calvo, e, forse, presso il fiumiciattolo Vetere.

Il 23 ottobre 1383 il prete Antonio di Pierleone Molle (sul verso del documento è scritto: Molis) dona tre terreni[xlvii][xlvii] alla badessa donna Biagia ed alle monache di S. Martino. Tra di essi: "vineam sitam... loco qui dicitur Sanctus Nicola de Calbi". Forse è il sito del piccolo, originale edificio, già cappella e detta di S. Nicolillo.

Il 20 aprile 1283, l'arciprete Andrea ed i chierici di S. Angelo, a nome della loro chiesa danno a Stefania[xlviii][xlviii] un "olivetum positum... in loco qui dicitur Le Petrelle" in cambio di "terre et montes positi... in loco qui dicti Ulfarinus, qui ab oriente finem habet cacumen montis qui nominatur Ulfarinus et terram Iohannis Cellarani, ad occidente habent terras Sancti Nicolai de Calvis..."

Una carta gaetana del 24 febbraio 1349 riporta i patti nuziali intercorsi fra Goffredo di Giacomo di Ugone e "Petro filio condam Andree de Calvis, de Itro nomine et pro parte Gemme sororis sue et filie predicti condam Andree[xlix][xlix]".

Riportiamo questa citazione proprio per dire come spesso i cognomi possono originarsi dalle località in cui le persone abitano o di cui sono proprietari e viceversa.

                                                                           

 

 

    13- S. Marco Evangelista

 

Il giorno 10 giugno 1767[l][l], d. Bonaventura Calcagnini, quale delegato alla visita pastorale nella terra d'Itri, cavalcando dalla terra di Sperlonga verso Itri, commette la visita di questa chiesa provvista di due altari, che si trova sul cammino, al canonico D. Giuseppe Mauro Pesaturo.

                                                                                 

 

 

   14- S. Martino di Pagnano

 

-Monastero di San Martino di Pagnano

 

Si trova nominato in una carta del 1301[li][li].

Il monastero, originariamente era ubicato fuori il paese di Itri, poi fu trasferito dentro di esso.

Aveva chiuso la sua esistenza in conseguenza delle leggi di soppressione delle corporazioni religiose nel regno d'Italia, quando cioè era venuto meno il numero legale delle monache.

Già da tempo però il locale, occupato quindi dalle Suore del Preziosissimo Sangue, era in uno squallore eccessivo.

Nella visita fattavi il 10 febbraio 1849, insieme con Ferdinando II, Pio IX lo qualificò come "il tipo della povertà" e lo raccomandò al re che be fece restaurare il secondo piano.

Il Cottineau[lii][lii] lo ricorda unico fra i monasteri d'Itri.

Nel transunto del testamento fatto da Giovanni Zeccadenari nel 1300, tra i diversi monasteri destinatari della donazione di mezzo augustale "pro caritate fratrum et monalium" si trovano elencati anche "Sancti Herasmi de Ytro, Sancti Martini de Pagnano[liii][liii]".

In un atto[liv][liv] del 20 maggio 1307 la "possessionem positam allu Campanaru territorii Itri" viene restituita al monastero di S. Martino, essendo terminata la terza generazione della concessione enfiteutica.

Molte e diverse sono le carte gaetane che richiamano questo monastero che possedeva una vasta estensione di beni immobili (oliveti, cese, incolti, monti, valli, montani) sia nel castro di Itri che nelle pertinenze itrane.

 

San Martino di Pagnano

 

Si tratta di un toponimo riportato nello Statuto quattrocentesco di Itri e frequente nel codice delle carte gaetane.

In precedenza troviamo Panianum, Pannanum, Pagnano locus o vicus, fin dai secoli IX‑X nel C.D.C. passim.

Quale monasterium lo troviamo negli anni 1131 e 1135:

Giovanni Iulacone e la moglie Maria, nel 1131, donano alla et Ecclesie Beati Martini que olim fuit destructa, nunc autem nobiliter edificata est a Domna Maria religiosissima, atque nobilissima Abbatissa, in cuius etiam regimine et potestate manet duabus petiolis de vinea in loco qui Arginianus dicitur positis[lv][lv]". Da questa carta sappiamo della distruzione della chiesa di S. Martino in Pagnano e possiamo forse desumere anche l'originale dell'attuale cognome  Iudicone. 

Nell'anno 1135, il presbitero Andrea, in nome del monastero di S. Quirico di Gaeta, vende a "domna Scolastica gratia dei humiles abbatissa sancti Martini de Pagnano... petiola una de terra et vinea positas in territorio sancti Martini, cum has fines. A parte horientis abet vineam de barone, et rasula comitis. A parte occidentis vineam sancti Martini. A parte meridiei similiter vineam Sancti Martini. A parte septentrionis vineam et terra Marie famule[lvi][lvi]".

 

Nella bolla di papa Adriano IV del 1158, che conferma e dichiara l'estensione della giurisdizione della diocesi di Gaeta[lvii][lvii], troviamo: Monasterium Sancti Martini de pagnano.

Nella bolla di papa Alessandro III che conferma la giurisdizione della diocesi di Gaeta[lviii][lviii], il monastero di S. Martino viene detto "de pannano".

Con un atto del 26 settembre 1364[lix][lix], le monache del monastero di San Martino di Pagnano in Itri, vacante per la morte della badessa d. Gemma de Alferio, vendono a Nicola di Andrea Sirleone un montano nelle vicinanze del monastero, un oliveto in località sotto la Mandra ed alcuni alberi di olivo nella Valle di S. Martino.

Alla presenza del notaio Matteo Taro di Gaeta "domna Maria domni Riccardi de Fundis, soror Iacoba Bulgamina de Terracena, soror Margarita de Neapoli et soror Iacoba Andree Symeonis de Ytro monialibus dicti monasterii" decidono di vendere tre loro possessi a Nicola Sirleone e cioé:

§         montanum unum ipsius monasterii situm iuxta dictum monasterium;

§         olivetum situm in loco qui dicitur sotto la Mandra, nonnullus fructus;

§         reditus et proventus provenientes et proventuros ex omnibus  et singulis arboribus olivarum existentibus in omnibus et singulis terris seminatoriis sitis in loco qui dicitur la Valle de Sancto Martino;

§         et omnibus olivarum existentibus in omnibus et singulis terris seminatoriis sitis in dicto loco qui dicitur sotto la Mandra que sunt in dominio dicti monasterii.

L'acquisto di questi possessi costarono a Nicola Sirleone il prezzo di "unciarum auri quinquaginta septem, tarenorum septem et medii de gillatis argenti boni et iusti ponderis, sexaginta pro uncia et duobus pro tareno computandi".

Questo montano (frantoio per le olive), che qui è detto situato presso il monastero, sarà il medesimo citato in un atto del 20 dicembre 1301 con il quale la badessa d. Maria de Alferio e la comunità di S. Martino di Itri concedendo in enfiteusi una terra in località "lu Mustaca" a Matteo de Pietro e a sua moglie Giacoma, abitanti nella località Pagnano, li obbligano a macinare le olive raccolte "ad montanum ipsius monasterii positum in ipso monasterio[lx][lx], cioè nel montano situato all'interno dello stesso monastero.

 Il 9 novembre 1368 mastro Andrea di Tommaso di Itri cede al monastero di "Sancti Martini de Pangano", vacante per la morte della badessa d. Gemma de Alferio, ogni diritto posseduto su un possedimento sito nella località Valle gae, appartenente allo stesso monastero[lxi][lxi].

Si tratta di una "possessione cum arboribus olivarum et aliis arboribus fructiferis, sita in territorio dicti castri, loco qui dicitur Valle gae, iuxta rem dicti monasterii a trbus partibus et ab alia parte iuxta foxatum antiquum".

Nello stesso giorno[lxii][lxii], il monastero di San Martino concede in enfiteusi il medesimo terreno allo stesso maestro Andrea di maestro Tommaso.

In questo atto il terreno è così definito ed individuato: "possessionem ipsius monasterii sitam in territorio dicti castri loco qui dicitur Valle gae, iuxta rem ipsius monasterii a duabus partibus, ab alia parte iuxta foxatum antiquum et ab alia parte iuxta viam puplicam cuius possessionis certa pars est pastinata de arboribus olivarum et de aliis arboribus fructiferis, que pervenit ad manus dicti monasterii nuper per renuntiationem supra dicti monialibus et procuratori factum per magistrum Andream magisti Thomasii... et reliqua pars ipsius possessionis est montuosa, grupposa, inculta et sterilis,de qua parte dictum monasterium nichil commodi percipiebat..."

Notiamo che nello stesso giorno, maestro Andrea di maestro Tommaso cede un terreno sito in Valle gae al monastero di S. Martino per poi riottenerne la concessione con l'aumento del confinante terreno definito montano e sterile.

Nell'atto viene citata una relazione fatta dal "discretum virum presbiterum Marinum Pappaciam de eodem castro, appretiatorem statutum et iuratum" del vescovo di Gaeta Rogerio ed autorizzato a stimare tutti beni ecclesiastici siti nel territorio di Itri che devono essere locali sia ad opera dei rettori delle chiese che dei monasteri; ad esso è associato il "consocium... presbitero Francisco Nicolai de Placza de eodem castro".

E' ricordata una pergamena[lxiii][lxiii] di S. Martino di Itri del 1380, ove Clemente VII è riconosciuto come papa. Tale pergamena non figura nella raccolta del C.D.C., ma non mancano esempi consimili nei documenti degli anni seguenti, sia nei riguardi di Clemente VII che di Benedetto XIII. Inoltre ripetutamente Itri è data come "Fundane  diocesis", con ogni probabilità in relazione e conseguenza dello scisma[lxiv][lxiv].

Biagio de Andrea di Itri, detto Biagio Pulce, cede al monastero di S. Martino i suoi diritti[lxv][lxv] su una "possessione cum arboribus olivarum, vitium et aliis arboribus fructiferis sita... loco qui dicitur Sanctu Martinu, iuxta fossam crucemque ad una parte..." ed ancora una "domo quam idem Blasius tenet in locatione a dicto monasterio sita in domibus ipsius monasterii situs ibidem...". La valle di S. Martino s'incontra prima di giungere alla località Mustaca.

L'11 settembre 1391, Nicola di Francone di Frosinone, vicario generale di Onorato Caetani, sentenzia a Fondi in favore di S: Martino di Itri nella causa vertente fra il monastero ed i parenti di suor Cecca circa l'attribuzione dell'eredità paterna di questa[lxvi][lxvi].

L'elenco dei beni immobili è il seguente:

§         "montanus unus, ubi dicitur la Costa, cum una aula per ipsum montanum cum solario et duabus cameris... iuxta monasterium Sancti Martini de Itro..." (La Costa si può identificare nelle vicinanze del monastero di S. Martino, circa la via S. Lucia);

§         "possessio una olivarum, ubi dicitur Monte Vinolo" (forse da identificarsi col Monte Vivolo, nel quale è aperto il traforo per la ferrovia). Il vinolo è termine locale usato per indicare l'attrezzo usato nella filatura della lana per raccogliere il filo in matassa; si dice ti faccio girare come un vinolo per indicare un colpo di schiaffo tanto forte da far girare il colpito su sè stesso;

§         "possessio una ubi dicitur Bucefaro" (si tratta di una montagna sopra Vallescura e le Vignole, a mezzogiorno della stazione ferroviaria);

§         "possessio una olivarum in dicto loco";

§         "possessio una in predicto loco";

§         "possessio una olivarum , ubi dicitur Valle Cardito, cum uno palmento scuperto";

§         "vinea una, ubi dicitur Veterana, cum una terra inculta";

§         "torcular unum in predicto loco";

§         "vinea una, ubi dicitur la Casa Caprari que reddit quartam partem" (località situata sulla sinistra dalla strada per Sperlonga, dopo Vagnoli e sotto Monte Moneta);

§         "vinea una in dicto loco, que reddit tertiam partem";

§         "vinea una in dicto loco";

§         "possessio una ubi dicitur Lavello, iuxta possessionem monasterii Sancti Martini, iuxta silcem antiquum et alios fines: Sappiamo che per "silcem antiquum" si intende, in genere, la via Appia.

 

Il 27 ottobre 1393, Erasmo Campellone di Gaeta nomina il suocero Tuzio Merolconlino a suo procuratore per prendere in affitto[lxvii][lxvii] "ad extaleum", per anni cinque, le rendite della molitura delle olive nei montani gestiti dal Monastero di S. Martino di Pagnano e della chiesa o cappella "Sancti Iacobi de Caczuno", sito ai confini del territorio gaetano: "pro pretio... unciarum auri centum et quindecim de gillatis argenti boni et iusti ponderis, sexaginta per uncias computandis, pro omnibus annis quinque predictis". Con questo atto veniamo a conoscenza di una sorta di monopolio frantoiano sul territorio mantenuto da queste due istituzioni religiose.

Il giorno 7 giugno 1767[lxviii][lxviii] il delegato vescovile alla S. Visita nella terra d'Itri D. Bonaventura Calcagnini va alla chiesa di S. Martino, delle monache benedettine, ricevuto dal canonico D. Francesco d'Alena, confessore ordinario; ci sono altare maggiore e altare della SS. Trinità decentemente ornati, confessionale e sagrestia.

                                                                            

 

 

   15- S. Nicola e S. Pietro di Campello

 

Nella visita pastorale effettuata alla terra d'Itri da d. Bonaventura Calcagnini per delega del vescovo di Gaeta, nel giugno 1767[lxix][lxix],  viene raggiunta la chiesa S. Nicola di Bari, chiesa rurale nel territorio di Campello, di patronato di D. Antonio De Felice barone dello stesso luogo, con unico altare decentemente ornato, e col confessionale lasciato sotto l'interdetto posto nelle visite precedenti[lxx][lxx].

Per altre e più estese notizie si veda la voce: Campello nello studio toponomastico relativo alle contrade d’Itri.

                                                                             


 

16- S. Rocco

 

Il De Santis si è occupato brevemente della Chiesa di S. Rocco di Itri in una nota ad un suo lavoro[lxxi][lxxi].

Egli racconta che "il 22 ottobre dell'anno 1625 il vescovo di Gaeta mons. Pietro de Ona, col vicario generale e col fiscale D. Vincenzo Mattara andando a Castelforte, visitò la chiesa di S. Rocco, retta da due procuratori; è confraternita ed ha l'ospedale. Ne era cappellano D. Gio. Battista Leo. il quale celebrava la messa tutte le feste, il lunedì, il mercoledì e il sabato.

Il fiscale o attuario, estensore della relazione, cosi scrive:

“Visitò l'ospedale de basso, non ci ha trovato cosa alcuna. Or­dinò che si faccino dui sacconi et dui coperte e se consegnino al romito che ci sta da tre anni. Ce trovò una donna con suo marito de Napole che sono otto giorni che ci sta. Ordinò che se ne andassero. Ordinò se accomodino le scale per le quali si saglie al hospidale di sopra fra otto giorni. In detto hospidale ce ha trovate due coperte et dui matarazzi vecchi con dui altri tristi, ordinò che se accomodi di modo che se ce possi dormire”.

Così poi egli continua in una nota al suo lavoro: "Sarà stato un senodochio, ospizio gratuito per i forestieri, una larva di se­nocomio per i pellegrini infermi. Anche in Itri la chiesa di S. Rocco, con unico altare e unico confessionale, grancia dell'oratorio dei SS. Gregorio e Antonio abate, cui era annesso l'ospedale per i pellegrini e i poveri, secondo le visite pastorali di mons. Antonio del Rio Colmenares del 3 maggio 1677 e di mons. Gennaro Carmignani del 9 giugno 1767. In Sessa i governatori della SS. Annunziata so­vrastavano anche «allo Spedale, che sotto il titolo di S. Rocco per servizio de' poveri infermi del Paese, e fuori, colle rendite della Chiesa si mantiene[lxxii][lxxii]». E uno "Spedale per li Pellegrini" vi era mantenuto dalla chiesa di S. Giacomo Ap.[lxxiii][lxxiii]. Le confra­ternite laiche operavano non solo sul piano spirituale ma anche su quello sociale, cercando di risolvere sia pure in maniera assai modesta nelle piccole terre il pro­blema dell'assistenza con la fondazione di ospizi per il ricovero di infermi e di pellegrini, nonché di monti di pietà per sottrarre la gente povera alla specula­zione e talvolta alla usura".

Infatti, nella visita pastorale del giugno 1767[lxxiv][lxxiv], il delegato vescovile D. Bonaventura Calcagnini visita la chiesa di S. Rocco, grancia[lxxv][lxxv] dell'oratorio dei SS. Gregorio e Antonio Abate, con unico altare allora costruito, con annesso « ospedale » (ospizio) per i pellegrini e i poveri, che è ricordato anche nella visita del 1722 («in dicta cappella exercetur hospi­talitas pro peregrinis in quibusdam domibus contiguis») e nella precedente del 1677 «chiesa ed hospidale »[lxxvi][lxxvi].

La creazione e lo sviluppo della rete ospedaliera medievale e tardomedievale derivano da un concetto di assistenza assai diverso da quello moderno: non un luogo di cura, ma un edificio dove veniva offerta ospitalità temporanea a poveri e pellegrini e dove erano esercitate, all’occorrenza, rudimentali pratiche mediche svolte nell’ambito della carità cristiana.

La base economica da cui l’ospedale traeva i mezzi era costituito da un patrimonio fondiario consolidatosi attraverso lasciti testamentari e gestito per lo più con il sistema mezzadrile.

                                                                            


 

    17- S. Vito

 

I ruderi di una piccola cappella intitolata a questo santo si può veder tuttora sul pianoro antistante l'entrata della grotta omonima situata sulle pendici del monticello sul quale si trovano pure i ruderi di S. Cristoforo di Itri.

Scrive il De Santis[lxxvii][lxxvii]: "La primitiva decisione di Monticelli di Fondi di assumere il nome di Monte San Vito "attesa la situazione topografica, secondo che si trova in monte prossimo a San Vito" venne rigettata dalle autorità perchè si confondeva con altro in provincia di Ancona, per cui si giunse a Monte San Biagio "per un San Biagio, protettore del Comune".

Aggiunge poi che "di San Vito è menzione nel celebre Placito di Castro Argento del 1014 per comporre la lite sui confini del territorio sorta tra il conte di Traetto Dauferio e il monastero di Montecassino: "...a canneto de terracina et sicut ibat super monte dofati super sancti viti in directe"[lxxviii][lxxviii].

Esistè un villaggio, detto Villa di S. Vito per una chiesa dedicata a questo santo, e fu distrutta nel sec. XVI nella contesa tra il vescovo Giacomo Pellegrino ed Isabella Colonna, signora di Fondi.

I vescovi di Fondi portarono il titolo di Baroni di San Vito; soppresso poi quel vescovado il 1818, la baronìa passò ai vescovi di Gaeta, cui la diocesi di Fondi fu aggregata[lxxix][lxxix].

E' ricordata anche una "ecclesia Sancti Viti territorii Gaiete" nel 1327[lxxx][lxxx], di cui al tempo del Gattola restavano "alcune vestiggie nella parte superiore della cattedrale e precisamente nella casa di Onofrio Pozonisco". Nulla più esiste ora.

 


 

     18- Santa Croce

 

Il 1 gennaio 1344, i fratelli Nello e Tamo Ferzone di Itri ottengono da Meolo di notar Giacomo da Pontecorvo, nella sua qualità di procuratore ed economo di maestro Bartolomeo de Nicola di Pontecorvo, tutti i diritti e le rendite e le chiese di S. Pietro di Campello, S. Croce e S. Donato di Itri[lxxxi][lxxxi].

L'atto viene ricevuto a Fondi da "Nicolaus Piczolus Fundorum iudex" e "Laurentius Adenulfi notarius" e da esso risulta la vendita"in extaleum iura omnia, reditus et proventus ecclesiorum Sancti Petri de Campello, Sancte Crucis et Sancti Donati de Itro" per la durata di cinque anni iniziando dal terzo giorno del mese di giugno del 1344 "ad rationem videlicet de unciis novem annatim" da pagarsi in Pontecorvo "medietatem in festo omnium sanctorum ipsorum annorum cuiuslibet uncias quinque et reliquas quatuor in festo Resurrectionis annorum ipsorum hinc ad dictum terminum".

 


 

       19- S. Lucia vergine

 

Nella Visita pastorale effettuata da d. Bonaventura Calcagnini nel giugno del 1767[lxxxii][lxxxii] su delega del vescovo di Gaeta, troviamo registrata la chiesa di S. Lucia Vergine, con unico altare, da parecchi anni interdetta e da poco restaurata (non figura nella visita precedente e sarà ridotta a uso profano nel 1798).

 

                                                                               

 

 

    

 

20- S. Maria degli Angeli

 

Nella Santa visita del giugno 1767[lxxxiii][lxxxiii], il delegato vescovile d. Bonaventura Calcagnini si porta in visita pastorale presso la Chiesa di S. Maria degli Angeli, con altare maggiore e altare di S. Anna. Si rinnova il sequestro dei frutti del beneficio di D. Vincenzo Fusco perché si adempiano gli oneri di messe.

 


 

     21- S. Maria della Misericordia

 

Nell'elenco delle chiese visitate da d. Bonaventura Calcagnini, quale delegato vescovile alla visita pastorale nella Terra d'Itri nel giugno 1767[lxxxiv][lxxxiv] troviamo la chiesa di S. Maria della Misericordia (visitata la sera del 10 giugno), della famiglia d'Arezzo, con unico altare e unico confessionale.

Nel 1722 vi era cappellano un certo abate Grimaldi residente in Napoli, e la messa in ogni giorno festivo veniva celebrata da D. Giacinto di Ovidio.

 


 

     22- S. Maria delle Grazie

 

Una visita pastorale nell'anno 1767[lxxxv][lxxxv] venne effettuata alla chiesa di S. Maria delle Grazie, extra moenia, sulla via Appia verso Roma (già esistente nel 1677), con unico altare e confessionale.

L'immagine è dipinta sulla parete sotto una elegante icone di stucco; peso di messa in ogni giorno festivo adempiuto dai cappellani dell'Annunziata, sotto il patronato dell'università (così nella visita del 1722).

 

 

 

   

 

  23- S. Maria di Loreto

 

Il Lombardini afferma che nel 1574 fu costruito il convento dei PP. Cappuccini;  oggi esso è sede del Ritiro "Nostra Signora di Loreto" dei PP. Passionisti.

 


 

     24- S. Maria La Bella

 

Nel giugno 1767[lxxxvi][lxxxvi], d. Bonaventura Calcagnini, delegato vescovile alla S. Visita nella terra d'Itri, accerta le condizioni della chiesa di S. Maria La Bella, patronato dell'università, con unico altare e confessionale.

C'erano nel 1722 l'altare di S. Carlo e l'altro di S. Lorenzo che fu interdetto, col peso di 100 messe celebrate da D. Gregorio Tatta cappellano dell'Annunziata e pagate dall'università, mentre il procuratore eletto dalla stessa e confermato dalla Curia aveva cura delle rendite.

 


 

    25- S. Maria Maggiore

 

Ne abbiamo una descrizione pubblicata dallo storico itrano Alfredo Saccoccio nella sua guida storico-turistica di Itri: "Vicino alla piazza Incorona­zione si trova la chiesa di S. Maria Maggiore già della SS. Annunziata. Vi si accede da un semplice ed am­pio portico, di stile gotico, con tre archi ogivali e tre portali, dei quali quello di mezzo, più grande, è anch'esso ogivale e ri­sale al XIV secolo. La tradizione locale dice che il portale vi fosse stato trasportato da S. Francesco.

Le prime notizie, inerenti la chiesa, rimontano al 26 mar­zo 1363, quando essa è ricordata nel testamento del conte di Fondi, Onorato I Caetani, che fece un lascito di 20 once «pro frabrica»(sic!). Sappiamo che nell'ultimo decennio del 1600 la chiesa era a tre navate: quella centrale era coperta a tettoia, con l'altare maggiore ed il coro coperto a volta. In essa vi erano: l'organo, il pulpito, la fonte battesimale ed il campani­le con due campane. La chiesa era ricettizia e  di patronato co­munale. Agli inizi del XVIII secolo essa fu ampliata ed ebbe radicali restauri. La caratteristica principale del tempio era il soffitto a cassettoni, d'oro zecchino. Però esso andò in rovi­na per un crollo, avvenuto nel 1829, per cui la chiesa fu rifatta in muratura. Nell'ultima guerra l'edificio sacro ebbe dan­ni notevolissimi e fu ricostruito qualche anno dopo. L'interno della chiesa è a tre navate; nel lato destro vi è la cappella del Crocefisso con altare in marmo intarsiato, nel cui paliotto sono scolpite le Anime del Purgatorio, mentre sopra il fastigio vi è raffigurata la Sacra Sindone. Quest'opera può riportarsi al XVIII secolo. Nella medesima cappella la volta è decorata a stucco, con alcuni angeli reggenti gli emblemi della Passio­ne.

Alcuni sostengono che l'opera fu realizzata nel 1827, per volere del pontefice Leone XII, ma essa risale al secolo XVI o, al più tardi, al secolo XVII. Nell'altare della navata sinistra riposa il corpo del santo Costanzo martire., i cui resti sono ricoperti da vesti ricamate. Una tela molto interessante. raffigurante la «Predica di S. Tommaso d'Aquino davanti al papa ed a un re» (forse Carlo I d'Angiò), era nèlla predella della cappella della navata sinistra. Un quadro, in tutto simi­le a questo, si trova a S. Maria a Vico ed è stato attribuito a Teodoro d'Enrico, conosciuto con lo pseudonimo «il Fiam­mingo». Non siamo riusciti a conoscere la data della scom­parsa della tela.

Poco lontano dalla chiesa di S. Maria Maggiore, c'era il convento con l'annessa, ricca chiesa di S. Francesco dove ora c'è il Bar Centrale, le Poste, le scuole medie ed un ufficio comunale".

Tra le carte riportate nel Codex troviamo un inventario dei numerosi beni immobili di proprietà della chiesa di S. Maria di Itri, fatto compilare, a Itri, dal priore Giacomo di notar Andrea il 23 giugno del 1367, indizione X.

Arrivando a tempi a noi più vicini troviamo che "il giorno 6 giugno 1767[lxxxvii][lxxxvii]  il Calcagnini (delegato del vescovo Carmignani alla S. Visita nella terra di Itri) si porta presso la chiesa di S. Maria Maggiore; lo ricevono il priore curato D. Francesco Antonio Sotis, i canonici e altri ecclesiastici. Ecco gli altari:

Altare maggiore, ornato decentemente;

S. Caterina vergine e martire;

S. Antonino, beneficiale dell'U. J. dott. D. Giacinto Duni (si conferma l'interdetto apposto nelle altre visite e si rinnova il decreto del sequestro dei frutti del beneficio per provvederlo delle cose necessarie);

S. Gennaro, al quale si trova annesso il beneficio sotto il titolo di S. Nicola, il cui beneficiato è D. Gio. Battista de Vasta dimorante « in alma urbe » (si conferma l'interdetto della visita precedente);

SS. Crocifisso;

SS. Gregorio e Antonio abate, in cui riposa il corpo del beato Costanzo martire, decentemente ornato;

due confessionali, coro e sagrestia".

Lo stesso giorno, il delegato vescovile visita l'oratorio della confraternita dei SS. Gregorio e Antonio abate,  che si trova sotto la stessa chiesa di S. Maria Maggiore, con unico altare, sagre­stia e paramenti[lxxxviii][lxxxviii].

La chiesa di Sancta Maria ha frequente citazione nel CDC; è riportata anche tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

I canonici di S. Maria di Itri ottengono, il 30 maggio 1381, l'erezione del loro capitolo con i diritti di cui già godono i canonici di S. Angelo della stessa città[lxxxix][lxxxix], dal Cardinale Giacomo di S. Prassede, legato apostolico, avversario dell'itrano papa Urbano VII; ed oltre ad alcuni beni per la loro corporazione, viene assegnata la dotazione del sacrista.

Il capitolo dei canonici di S. Maria viene dotato dei beni appartenenti alla cappella del "condam Gualguane de Roberto site intus dictam ecclesiam Sancte Marie" e cioè della "terram sitam... loco qui dicitur la valle de Ytro... et unam seccidam  de duabus seccidis vinearum quas habet dicta cappella in dicto territorio, loco qui dicitur Agide".

Il sacrista della chiesa  di S. Maria, il diacono Andrea di Pietro Pulsisti, viene dotatao di "vegete una vini et mensura una olei annuatim et orto uno sito alla Valle".

 

 

 

   26- Sant' Orsola a San Gennaro

 

Questa antica cappella, ora diruta, si trova a monte dell'Appia, poco prima di arrivare ad Itri venendo da Formia.

 

 

     27- SS.ma Annunziata

 

Ne hanno parlato il De Santis[xc][xc] e il Colaguori[xci][xci] da cui, di seguito, riportiamo.

Esiste in Itri la chiesa dell'Annunziata, a tre navate, con facciata preceduta da un portico con tre archi ogivali e tre portali che sono stati ricostruiti dopo le distruzioni della recente guerra.

Templi dedicati all'Annunciazione della Vergine sono sorti nella regione dal '300 al '500, tutti fuori la cinta urbana e di patronato comunale:

- a Gaeta (il più antico, 1321)

- a Fondi (poi S. Bartolomeo)

- a Maranola (oggi S. Antonio)

- a Minturno, già Traetto

- a Castelforte

- a Sessa Aurunca e, in altre città di Terra di Lavoro come Capua, Aversa, ecc.

 

Alle chiese erano sempre annesse delle opere di beneficenza, solitamente un ospedale, talvolta anche un conservatorio per le esposte, con legati e rendite varie.

L'Annunziata di Itri è ricordata, insieme con quelle di Fondi e Minturno, nel testamento di Onorato Caetani, conte di Fondi, del 26 marzo 1363, il quale legò 20 once "pro fabrica"[xcii][xcii].

In una adunanza del 7 gennaio 1474, VII Ind., troviamo presenti:

- don Gio: Paganello, sagrestano (sacristia = capo dei preti) dell'Annunziata (che nel 1478 troviamo quale arciprete di Campello);

- don Antonaccio Manso, alias frate Bonaventura;

- don Cola Peteruso;

- don Pietrantonio Cola Tuzo;

- don Bello de Angelo;

- forse il prete don Johannes Cicci Cardogna quale arciprete di Campello.

 

Otto capitoli dello statuto itrano del '400, cap. 202-209, sono dedicati alla chiesa itrana.

Col cap. 180 dello Statuto di Itri era stato disposto che all'Annunziata non potessero stare più di quattro preti "salariali (sic) li quali sacciano dire messa et dicano in ipsa ecclesia", ai quali i procuratori dovevano pagare il salario consueto, si disponeva inoltre che da tutti i frutti ed entrate della chiesa e specialmente dal quartuccio dell'olio e del pesce si dovevano cacciare ogni anno due once (= 12 duc.) per la riparazione delle case della chiesa "che stanno nel borgo della terra dove se dice lo ponte iuxta le cose de S. Maria de la Civita et iunto la via publica dove allo presente per ditto capitanio si regge corte".

 

Con decreto di S. Visita del vescovo di Gaeta Carlo Pignatelli in data 15 novembre 1722, proprio per i cappellani dell'Annunziata di Itri, chiesa ricettizia e di patronato dell'università, si ordina "al rev. sagristano anche sotto la pena di docati diece l'osservanza dell'appuntatura con eliggersi li puntatori, che debbiano far notamento de' ponti di ciascheduno non interveniente…"[xciii][xciii].        

 

Nella chiesa c'era un altare dedicato ai santi fratelli martiri Crispino e Crispiniano, festeggiati il 25 ottobre in modo particolare dai calzolai ed anche essi inclusi nel calendario carmelitano.

Andrea Maggio, priore di S. Maria di Itri, stabilisce alcuni codicilli in aggiunta al suo testamento[xciv][xciv] e ci fa conoscere l'esistenza, al 26 giugno 1363, di alcuni luoghi pii cui destina alcune somme. Tra essi si trova: "item Annunciate de Itro tarenos duoedecim pro opere", di cui è presbitero Andrea cui vengono personalmente destinati quindici tareni. Ed ancora troviamo nello stesso atto un altro lascito: "item confratribus Annuntiate de Itro tarenos duodecim"; la chiesa attuale rimonta al 1500, con radicali restauri posteriori. Il portale è del secolo XIV, ma si dice trasportato ivi da San Francesco.

Notiamo che l'Annunziata di Itri[xcv][xcv] "a tre navate, con facciata preceduta da un portico con tre archi ogivali e tre portali, che sono stati ricostruiti dopo le distruzioni della recente guerra", era, come gli altri templi dedicati all'Annunciazione, nella stessa regione "fuori la cinta urbana e di patronato comunale". A simili chiese  erano sempre annesse opere di beneficenza. In quella di Itri "solevano adunarsi il Consiglio e Sopraconsiglio degli uomini della Università", e per il mantenimento dei sacerdoti addetti al suo servizio, era assegnato il quartuccio del pesce, come per l'Annunziata di Gaeta.

      

Ospedale dell'Annunziata

 

Una pergamena molto rovinata del 2 aprile 1353 riporta la concordia fatta circa l'eredità della defunta Albogaria[xcvi][xcvi].

La vertenza è fra "Simonem et Iacobum Cembronem de Itro procuratoris ospitalis Annunciate de Itro" da una parte, i "presbiterum Iacobum Abbatelli ac presbiterum Nicolaum Capanna de Itro executores ultimi testamenti condam Allogarie..." dall'altra nonchè diversi altri e la figlia donna Stefania che probabilmente è stata diseredata di tutto in favore appunto dell'ospedale dell'Annunziata. La vertenza sembra finire con l'assegnazione di metà dei beni testamentari quale dote alla figlia Stefania.

Il pomeriggio del 7 giugno 1767[xcvii][xcvii] il delegato vescovile alla visita pastorale nella terra d'Itri, D. Bonaventura Calcagnini, visita la chiesa ricettizia della SS. ANNUNZIATA, ricevuto dal sacrista maggiore D. Filippo Pecorone e dagli altri sacerdoti.

Vi si tiene l'olio degli infermi, per comodo dei parroci. Invero nella visita di quarantacinque anni innanzi (6 novembre 1722) si dice che « il sobborgo della terra d'Itri non ha la parrocchiale, ma la cura delle anime nello stesso viventi spetta alle due par­rocchie esistenti nella terra, che hanno il SS. Sacramento Euca­ristico nella chiesa dell'Annunzíata... « ob difficultatem ministra­tionis in casu necessitatis ob distantiam loci qua suburbium distat a terra, et asperitatem itineris hyemis vel noctis tempore ».

Nella chiesa adunque visita:

l'altare maggiore decentemente ornato, gli altari del SS. Crocifisso, in cui si conserva il SS. Sacramento, della Pietà, della Carità, dei SS. Crispino e Crispiniano, del SS. Rosario (in costru­zione, per cui esorta i procuratori a terminarlo al più presto), due confessionali, il coro e la sagrestia.

La chiesa ‑ si dice nella visita del 6 novembre 1722 ‑ è di patronato dell'università e ricettizia per i cittadini e gli oriundi di Itri, e l'università cura che sia servita « in divinis » dai cappellani oriundi e cittadini itrani, dai quali si presta il servizio corale quotidiano. Si aggiunge in altro luogo della stessa visita (pag. 183 v.): « Ordiniamo che in futurum non siano ammessi in essa sacerdoti forastieri sotto pena di sospensione ai medesimi ipso facto incurrenda ».

Di patronato comunale e ricettizie anche le altre chiese dedi­cate alla Vergine Annunziata, in Gaeta, in Traetto (Minturno) ed altrove[xcviii][xcviii].

 

       28- Sant' Agostino

 

Con l'atto[xcix][xcix] del maggio 1355 viene venduta una casa ed un appezzamento di terreno, ma vi si cita un altro atto che fu redatto "in domibus Sancti Augustini ut supra, ubi dicitur la Costa".

 


 

    29- Sant'Angelo

 

Di frequente citazione nel CDC, specialmente nel vol. III, sec. XIV è riportato anche tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

Andrea di Goffredo de Ugo, nel suo testamento[c][c], per compensare il servizio di due sacerdoti addetti ad una "cappelle ipsius Andree site in ecclesia Sancti Angelo de castro dicto" cioè una cappella posta sotto il padronato del defunto Andrea,  ha incaricato i nipoti, Riccardo de Cartaro e Giovanni de Ricio, di dare all'abate Giacomo Abbacelli una "possessionem cum arboribus olivarum et aliis arboribus fructiferis sitam in territorio dicti castri, loco qui dicitur  li Campelluni".

Nella carta del 28 luglio 1363 il sacerdote Nicola Portaioye, primicerio di Itri aggiunge al proprio testamento alcuni codicilli[ci][ci] relativi ad alcuni legati di cui era beneficiario.

Egli si trova "iacentis in domibus habitationis sue sitis intus dictum castrum loco qui dicitur Sanctus Angelus... qui, licet infirmus sit corporis sanus tamen mentis recteque loqutionis existens...". Sembra importante per le consuetudini del luogo citare che tra i suoi beni esiste "domus cum stalla sitas intus dictus castro, loco qui dicitur Sanctus Angelus",

Il 16 luglio 1374 fa testamento[cii][cii] Nicola Fasani fu Giovanni di Itri trovandosi giacente ammalato nel letto della sua casa "loco qui dicitur Sanctu Angelu", avanti il giudice di Itri Giovanni di Nicola di Giovanni de Rogerio ed il notaio Andrea Salvatico figlio del fu Pietro.

Tra i diversi lasciti testamentari in denaro vi è quello di un appezzamento di terreno "item predicto presbitero Petro Iacobi Ballette possessionem unam sitam in territorio dicti castri, loco qui dicitur lu Nassu, iuxta rem...; pro qua ipse presbiter Petrus debet orare pro animabus patris, avi et avie ac pro anima ipsius testatoris, videlicet in cappella facta per Andream Salvaticum intus ecclesiam Sancti Angeli semel in septimana, et post mortem dicti presbiteri Petri ipse presbiter Petrus det uni alii sacerdoti dicatm possessionem cum conditione predicta, et post mortem alii sacerdotis detur alii sacerdoti et sic subcessive sub conditione predicta...".

La famiglia "Salvaticus" la troviamo molto vicina alla chiesa; infatti è presente nella fondazione della chiesa di San Cristoforo nelle cui vicinanze ha un appezzamento di terreno e la troviamo anche con diritto di patronato su una cappella eretta dentro la chiesa di Sant'Angelo che, con quest'atto, si preoccupano anche di dotare a spese di Nicola Fasani.

Il 20 marzo 1379, l'arciprete ed i canonici di S. Angelo di Itri, per la somma a tal fine lasciata in testamento da d. Maria di Giovanni Corvo, concedono al notaio Nicola di Guglielmo Corvo e a Francesco di Nicola di Pietro Corvo un luogo con sepoltura nella loro chiesa, perchè possano farvi edificare un altare o una cappella, a cui viene anche assegnata una dotazione[ciii][ciii].

Riportiamo: "locum cum quadam sepultura ibi stantem situm intus dictam ecclesiam in angulo dicte ecclesie prope tribunam magnam...; qui locus... stat a latere sinistro [ingrediendo intus] ecclesiam per portam magnam" per la somma di "uncias duas de gillatis argenti, sexaginta per unciam computandis... legatus olim per condam domnam Mariam Iohannis Corvi in suo ultimo testamento pro translatione cappelle seu sepulture Corvorum intus dictam ecclesiam... ad honorem Dei et beate Marie virginis... et pro dote dicte cappelle et orationibus fiendis in ea.... donavit... possessionem cum arboribus olivarum, vitium et ficuum, cum quodam palmento startum in ea".

Ed ancora viene donata "aliam possessionem cum arboribus olivarum sitam loco qui dicitur Agia". Ed, infine, una "vineam.... sitam... loco qui dicitur Agia".

Sono due i documenti del C.D.C. che riguardano un affresco esistente in Sant'Angelo; essi sono il doc. 495 (p. 157) ed il doc. 515 bis (p. 312) del t. III, p. I.

Così viene descritta la Visita pastorale del 6 giugno 1767[civ][civ]: "Questi (l'arcidiacono e provicario generale D. Bona­ventura Calcagnini col cancelliere della Curia, delegati dal vescovo Gennaro Carminagni ad effettuare la S. Visita nella terra d'Itri), partiti da Gaeta la mattina del 6 e accolti nella casa dell'arciprete e vicario foraneo D. Orazio Sardi, cominciano nel pomeriggio dalla collegiata di S. Michele Arcangelo (S. Angelo), dove sono ricevuti dal primicerio D. Michelangelo Piazzoli, dai canonici e dagli altri del clero. Seguiamoli. Si notano l'altare maggiore e questi altri altari:

Natività della B. Maria Vergine;

SS.mo, decentemente ornato;

Vergine della Civita, patronato della famiglia Mancino (si conferma l'interdetto « sub poena privationis »);

oratorio e altare dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, in cui si congregano i fratelli del SS. Sacramento;

S. Nicola di Bari, della famiglia olim Assaiante ora Nofi (si rinnova l'interdetto messo da parecchi anni);

S. Francesco di Paola, patronato dell'università o comune, elegantemente ornato;

S. Giacinto (ordine di provvederlo di nuovi fiori, della prima e seconda tovaglia ecc.);

due confessionali e il coro".

 


       30- Sant' Antonio Abate

 

Nell'anno 1767[cv][cv] la Chiesa di S. Antonio Abate viene visitata dal delegato vescovile, D. Bonaventura Calcagnini, la sera del 9 giugno 1767, e vi trova un unico altare e confessionale.

 


 

        31- Sant' Erasmo

 

Riportato tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

Nella bolla di papa Adriano IV del 1158, che conferma e dichiara l'estensione della giurisdizione della diocesi di Gaeta[cvi][cvi], troviamo: “Ecclesiam Sancti Herasmi de Itro”.

Nel transunto del testamento fatto da Giovanni Zeccadenari nel 1300, tra i diversi monasteri destinatari della donazione di mezzo augustale "pro caritate fratrum et monalium" si trovano elencati anche "Sancti Herasmi de Ytro, Sancti Martini de Pagnano[cvii][cvii]".

Tra i testimoni che sottoscrivono un atto del 10 ottobre 1361, redatto "apud ecclesiam Annuntiate de burgo castri Ytri",  col quale Andrea Maggio, rettore di S. Maria in Itri, concede in enfiteusi ad Andrea Castellone del fu Pietro di Itri una terra seminatoria in località Arcelloni[cviii][cviii], troviamo registrati: "domnus Docibilis abbas monasterii Sancti Herasimy de Itro, frater Petrus de Campomellis monacus dicti monasterii, frater Nicolaus Pacrius monacus dicti monasterii" ed altri.

Secondo il Leccisotti, alla morte di Docibile[cix][cix] gli successe in S. Erasmo di Itri il monaco cassinese Rainaldo Particelle, nel 1364, cui a breve intervallo seguì un altro cassinese, Paolo di S. Elia.

S. Erasmo di Itri è spesso confuso con quello di Castellone in Formia o addirittura ignorato. Invece ricorre non di rado nei registri papali, che talora lo localizzano meglio "extra muros castri Itri"e anche nel cod. Barb. Lat. 3216, che più specificamente lo pone "in valle itrana" e ne ricorda alcuni degli abati.

I ruderi di questo monastero, che come abbiamo ricordato, era "extra muros; in valle Itrana", si scorgono alla destra della strada Civita Farnese, su una collina prima di svoltare per la scorciatoia della Civita[cx][cx].

Una carta del 12 gennaio 1373 ci racconta come Paolo, abate di S. Erasmo di Itri, quale giudice subdelegato di Antonio, vescovo di Aquino, per la rivendicazione dei beni di S. Martino, abbia condannato Giovanni di Giacomo da Gaeta a restituire un oliveto sito in località Argignano[cxi][cxi].

L'abate di S. Erasmo di Itri, Paolo, già professo di Montecassino e preposito di S. Benedetto di Capua, era stato nominato abate di S. Erasmo il 17 giugno 1360[cxii][cxii].


 

       32- Santo Spirito

 

Andrea Maggio, priore di S. Maria di Itri, stabilisce alcuni codicilli in aggiunta al suo testamento[cxiii][cxiii] e ci fa conoscere l'esistenza, al 26 giugno 1363, di alcuni luoghi pii cui destina alcune somme. Tra essi si trova: "item Sancto Spiritui de Itro pro opere tarenos duos"; è una chiesetta che si trovava circa trenta metri fuori di Itri, lungo via San Gennaro.

Nel corso della visita pastorale effettuata su delega vescovile da D. Bonaventura Calcagnini alla terra d'Itri nel giugno 1767[cxiv][cxiv], viene registrata la chiesa dello Spirito Santo, grancia del l'arciconfraternita omonima (S. Spirito in Sassia) in Roma, con unico altare.

Nel 1722, per la cappella sotto il titolo dei SS. Erasmo e Leonardo, con onere di una messa in ogni giorno festivo, si dice: « Adest titulus beneficij uniti et aggregati Ecclesiae Archi­confraternitatis Spiritus Sancti nationis neapolitanae urbi »[cxv][cxv].

 


 

    33- Santo Stefano

 

Riportato anche tra i nomi di luogo che figurano nella descrizione della terra d'Itri dall'Inventarium Honorati Gayetani, dell'anno 1491.

Pietro Capraro dichiara[cxvi][cxvi] a Pietro abate del monastero "SS. Trinitatis ad arcu timpano" che la madre già da tempo aveva donato i propri beni al detto monastero: "et in monasterio vesto Sancti Laurentii de ipsi Calbi qui dicitur de grege. Et in Sancto Stefano, et in Palmole, et in Maliana che sono tutte località che si trovano in territorio itrano.

Nell'inventario[cxvii][cxvii] dei beni immobili della chiesa di S. Maria di Itri, fatto compilare dal priore Giacomo di notar Andrea il 23 giugno 1367 troviamo elencati una serie impressionante di possessi della chiesa nel territorio itrano con i relativi toponimi, tra i quali per ben venti volte appezzamenti di terreni con diversa destinazione colturale: "in pertinentiis dicti castri Ytri, loco ubi dicitur Sanctus Stephanus".

Il 28 ottobre 1375, Giovanni Mezzanotte di Itri vende al concittadino Andrea di Ugo tutti i suoi diritti su un podere in località S. Stefano, concessogli fino alla terza generazione dalla chiesa di S. Maria[cxviii][cxviii].

Si tratta di una "possessione pastinata olivis et vitibus sita... loco qui dicitur Sanctus Stephanus" che "Iohannes Mesanocte" dice di "tenere in locatione ad tertiam generationem, ab ipso Iohanne venditore incipientem et legitime descendente, ab ipsa ecclesie Sancte Marie de Ytro" contro un canone annuale della sesta parte di tutti i frutti da essa prodotti.

Alla vendita dà il proprio consenso con riserva della proprietà il presbitero Giacomo del notar Andrea in qualità di priore della detta chiesa e presente all'atto.

In Itri esisteva una confraternita col nome di Santo Stefano ed aveva una proprietà presso Sperlonga, ove si dice che una volta esistesse una cappellina ora scomparsa.

Il rettore di S. Maria, Giacomo del notar Andrea, concede in enfiteusi[cxix][cxix] a Giovanni di Guglielmo Sinapi, il 31 marzo 1388, una "possessionem olivarum cum quodam monte inculto ipsi poxessioni contiguo male cultum, sitam... loco qui dicitur Sanctus Stephanus" e per comodità del Sinapi che s'impegna a migliorare il fondo, concede ache "sedile sito in burgo dicti castri, loco qui dicitur Sanctus Iennarius". Garante del contratto di enfiteusi è il prete Giacomo Sinapi "archipresbiteri castri Ambrifi".


 

[i][i] Ignazio Lombardini, "Maria della Civita!…", Casamari, 1976. Ma è fratello Bartolomeo.

[ii][ii] Riportato da: P. CHERUBINO NICOLA DI FEO, Brevi Cenni Storici; in: M. FABRIZIO, Itri, la storia attraverso le immagini, Itri, 1998, p. 43.

[iii][iii] Dalla Presentazione di MARISA DE SPAGNOLIS, Ispettore archeologo della Soprintendenza Archeologica del Lazio, al volume anastatico curato da M. FABRIZIO, Historia della S.ma Madonna d'Itria o di Costantinopoli scritta dal Molto illust. Signor. Michel'Angelo di Arezzo, Napoli 1633, p. 10.

[iv][iv] L'opera più completa sulla storia di questo santuario itrano resta tuttora: E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo Santuario, ripr. anast. a cura di Alfredo Saccoccio, Latina 1986.

[v][v] C.D.C., II, c. 338, a. 1147, p. 272.

[vi][vi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[vii][vii] Sulla chiesa della Civita: E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo santuario. Tradizioni e memorie, Città di Castello 1916; GIO. BATTISTA PICCIRILLI, Storia dell'insigne santuario di Santa Maria della Civita ecc. Napoli 1857 e 1893; GIUS. FANCHIOTTI, Appunti storici: il Santuario della Civita e la Terra d'Itri, Londra 1896; S. MONTORIO, Zodiaco di Maria ecc, Napoli 1715, pp. 141‑46.

[viii][viii] Per i benefici delle chiese di Itri e di Sperlonga si vedano gli scritti di A. DE SANTIS: Del vescovato e della diocesi di Gaeta nell'ultimo decennio del '500, in: « Rivista di storia della Chiesa in Italia», a. IV, n. 2, maggio ‑ agosto 1950, pp. 276‑77; Le decime pagate dalla diocesi di Gaeta nel 1661, in: «Economia Pontina», n. 4, aprile 1965; Itri alla fine del seicento, ibid. n. 11, novembre 1967; Sperlonga duecentosettantadue anni fa, ibid. n. 1., gennaio 1962. Alla fine del 700 o nei primi anni dell'800 Itri e Sperlonga avevano rispettivamente all'incirca ab. 4.400 e 1.200 (L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico‑ragionato del Regno di Napoli, V, 1802, pp. 184‑186; IX, 1805, p. 96). Per altre notizie su Itri, ancora gli scritti di A. DE SANTIS: Lo statuto di Itri, in « Accademie e biblioteche d'Italia », a. XX, 1952, n. 3‑4; il capi­tolo Itri, in Circeo ‑ Terracina ‑ Fondi di S. AURIGEMMA, A. BIAN­CHINI, A. DE SANTIS, nella collezione « Itinerari dei Musei, Gallerie e Monumenti d'Italia », Roma, Istit. Poligr. d. Stato, 2^ ediz. 1966. Per le condizioni delle sue chiese maggiori, la monografia Lazio del T.C.I., Milano, 1964, p. 536; in particolare per i campanili, oltre mons. A. SERAFINI, il quale ha trattato delle Torri campanarie di Roma e del Lazio nel medioevo ecc. Roma, 1927: Fr. SANGUINETTI, Nota sul campa­nile di Santa Maria ad Itri, in «Quaderni dell'Istituto di storia dell'archi­tettura», agosto 1955, n. 12, pp. 17‑18; R. PERROTTI, Il campanile di S. Michele Arcangelo in Itri, Roma, Arti grafiche Bruno Fogari, 1959.

[ix][ix] E. IALLONGHI, La Madonna della Civita ecc. p. 208 in nota.

[x][x] C.D.C., III, 1, c. 450, a. 1329, pp. 68-69

[xi][xi] Questo termine è attestato tuttora in San Castrese, frazione di Sessa Aurunca dove era attiva una prepositura cassinese.

[xii][xii] P. CAYRO, Storia Civile e Religiosa della Diocesi di Aquino, ristampa anastatica, Pontecorvo 1981, pp. 93-122.

[xiii][xiii] Sacra Visitatio totius Fundanae dioecesis ab... Joanne Bap.ta Comparini peracta. Anno 1599, a cura di D. Lo Sordo, C. Macaro, G. Pesiri, I, Marina di Minturno, 1981, pp. 77-78.

[xiv][xiv] Ibid., p. 34.

[xv][xv] M. de' Spagnolis, Itri, edizioni di Odisseo, Itri, 1977, pag. 50, con foto.

[xvi][xvi] C.D.C., III, 1, c. 473, a. 1348, pp. 113-114.

[xvii][xvii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[xviii][xviii] Diamo una breve bibliografia sull'argomento:  A. SACCOCCIO, Itri, guida storico-turistica, Gaeta, 1977; M. de’ Spagnolis, Itri, Itri, 1977; I. LOMBARDINI, Maria della Civita!..., Casamari, 1976; E. DE MINICIS, La chiesa di S. Cristoforo nel territorio di Itri, in: Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale,  n. X, fasc. 1-2, Roma, 1978; G. CAPPA BAVA-S.JACOMUZZI, Del come riconoscere i santi, Torino, 1993; J. C. SCHMITT, Il santo levriero guaritore di bambini, Torino, 1982; Codex Diplomaticus Cajetanus, Pars III, I, Montis Casini, 1958.

[xix][xix] C. MINIERI RICCIO, Notizie storiche, p. 34.

[xx][xx] C.D.C., III, 1, c. 470, a. 1344, pp. 105-106.

[xxi][xxi] C.D.C., III, 1, c. 474, a. 1349, pp. 115-116.

[xxii][xxii] C.D.C., III, 1, c. 490, a. 1362, pp. 148-49.

[xxiii][xxiii] C.D.C., III, 2, c. 590, a. 1389, pp. 65-67.

[xxiv][xxiv] C.D.C., III, 2, c. 622, a. 1398, pp. 142-143.

[xxv][xxv] Repertorio pergam. Gaeta, p. 283, a. 1606.

[xxvi][xxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[xxvii][xxvii] WADDING, Annales Minorum, VII, 41, anno 1324; riportato da: A. DE SANTIS, Statuto di Itri.

[xxviii][xxviii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[xxix][xxix] C.D.C., III, 1, c. 515, a. 1367, pp. 189-196

[xxx][xxx] C.D.C., III, 2, c. 588, a. 1388, pp. 61-63

[xxxi][xxxi] C.D.C., III, 2, c. 605, a. 1393, pp. 107-108.

[xxxii][xxxii] C.D.C., II, ch. 338, a. 1147, pag. 272.

[xxxiii][xxxiii] C.D.C., I, ch. 165, anno 1036, pag. 325.

[xxxiv][xxxiv] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[xxxv][xxxv] E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo Santuario, Latina 1986, ripr. anast. a cura di Alfredo Saccoccio, p. 88.

[xxxvi][xxxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[xxxvii][xxxvii] C.D.C. II, a. 1128, doc. 315, p. 237‑38.

[xxxviii][xxxviii] P. CAYRO, Storia Civile e Religiosa della Diocesi di Aquino, ristampa, Pontecorvo 1981, pp. 490-191.

[xxxix][xxxix] Segn. Num. 119, pag. 122. Riferimenti riportati dal Cayro.

[xl][xl] Segn. Num. CXXVII, ibid.

[xli][xli] Segn. Num. CXI, pag. 208, ibid.

[xlii][xlii] Segn. Num. CXVII, pag. 117, ibid.

[xliii][xliii] Segn. Num. CCCCLXVI, pag. 80, ibid.

[xliv][xliv] C.D.C., II, c. 287, a. 1111.

[xlv][xlv] CDC, III, a. 1283, doc

[xlvi][xlvi] CDC, III, a. 1383, doc. 561

[xlvii][xlvii] C.D.C., III, 2, c. 576, a. 1383, pp. 32-34.

[xlviii][xlviii] C.D.C., III, 2, c. 643, a. 1283, pp. 180-181.

[xlix][xlix] C.D.C., III, 1, c. 474, a. 1349, pp. 115-116.

[l][l] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[li][li] C.D.C., III, 1, c. 427, a.1301, p. 4.

[lii][lii] In: Repertoire topo-bibliographique des abbayes et prieures, 1470.

[liii][liii] C.D.C., III, 1, c. 430, a. 1306, p. 9.

[liv][liv] C.D.C. III, 1, c. 431, a. 1307, p. 20

[lv][lv] C.D.C., II, doc. 320, a. 1131, p. 245.

[lvi][lvi] C.D.C., II, doc. 342, a. 1135, pp. 278-279.

[lvii][lvii] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[lviii][lviii] C.D.C., II, c. 351, a. 1170, p. 293.

[lix][lix] C.D.D., III, 1, c. 505, a. 1364, pp. 168-172

[lx][lx] C.D.C., III, 1, c. 427, a. 1301, p. 4-5.

[lxi][lxi] C.D.C., III, 1, c. 518, a. 1368, pp. 202-203.

[lxii][lxii] C.D.C., III, 1, c. 519, a. 1368, pp. 204-206

[lxiii][lxiii] AMANTE-BIANCHI, Memorie... di Fondi, p. 309, n. 1

[lxiv][lxiv] Riportato in nota 1 del C.D.C., III, 1, p. 308.

[lxv][lxv] C.D.C., III, 2, c. 567, a. 1382, p. 10-11.

[lxvi][lxvi] C.D.C., III, 2, c. 597, a. 1391, pp. 82-85.

[lxvii][lxvii] C.D.C., III, 2, c. 605, a. 1393, pp. 107-108.

[lxviii][lxviii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxix][lxix] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxx][lxx] Citiamo da A. De Santis: "Nelle Constitutiones dioecesanae synodi del vescovo Pergamo, 1779 (Napoli, 1785) figurano per Itri le chiese di S. Michele Arc., S. Maria Maggiore, A.G,P., S. Martino, la Civita, e per Sperlonga S. Maria in Cielo Assunta, pp. 157‑58. Il ricordo di alcune chiese itrane nel sec. XV: una casa de la ecclesia de Sancta Maria ‑ lo burgo dove se dice Sancto Lonardo ‑ li boni de la ecclesia de Sancto Spiritu ‑ una cappella Sancti Honufrii ... in la ecclesia de Sancto Angelo ecc. (Inventarium Honorati Gaytani, del 1491, pp. 134 ‑ 36, pubblicazione ancora riservata presso la Bibl. Apost. Vaticana; anche li heredi di misser Antonio o Antone de Arecze, pp. 135 e 137. In Sperlonga, la ecclesia de Sancto Antone, la eccle­sia de Sancta Maria de Spelonga, ibid. pp. 128 e 131). Per il XIV secolo, Codex diplom. Cajetanus, pars. III, Montecassino 1960, s. indice. Una chiesa di S. Nicola nella vallata sotto Campello esistente già nel 958, come nel cit. Cod. dipl. Caiet. I, 109. Inoltre, il monastero di S. Erasmo di Itri pagava nei primi anni del sec. XIV oncia 1 e tari 6. Rationes deci­marum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, a cura di M. Inguanez, L. Mattei Cerasoli, P. Sella, Città del Vaticano, 1942, p. 11. « Studi e testi 97 ». Per Itri, si veda il mio scritto Le chiese di Minturno, Formia e Itri alla metà del settecento in una visita del vescovo di Gaeta mons. Carmi­gnani, in « Economia Pontina », luglio 1971".

[lxxi][lxxi] A. DE SANTIS, Le chiese del territorio di Castelforte e SS. Cosma e Damiano nel basso Garigliano, in: "Bollettino dell'Istituto di storia e di Arte del Lazio Meridionale", fasc. III, 1965, nota 4, pag. 32.

[lxxii][lxxii] T. DE MASI DEL PEZZO, Memorie istoriche degli Aurunci... e delle loro principali città Aurunca e Sessa, Napoli, 1761, p. 281.

[lxxiii][lxxiii] DE MASI, op. cit., p. 282; L. SACCO, L'antichissima Sessa Pometia. Discorso istorico, Napoli, 1640, p. 68.

         [lxxiii][lxxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

 

[lxxv][lxxv] Grangia. Dal francese antico granche, «granaio». La crescita demografi­ca dell'XI secolo provocò, fra gli altri effetti, la dissoluzione del manso, inteso come fondamentale unità di conduzione agricola nel quadro della villa o curtis: là dove, al tempo di Carlo Magno, viveva una sola famiglia contadina, ora, grazie alla maggior quantità di attrezzi, a qualche innova­zione tecnologica, e soprattutto a uno sfruttamento più intensivo delle aree precedentemente incolte, riuscivano a vivere sia pure a fatica molte fami­glie. Perciò il manso si frantumò, e con esso scomparve l'organizzazione curtense; la grande proprietà si frazionò in innumerevoli parcelle, concesse in affitto a una moltitudine di affittuari. Quasi tutti i grandi proprietari, tut­tavia, conservarono qualche prato, campo o vigna sotto la propria gestione diretta, e soprattutto continuarono a possedere qualche edificio rurale atto a ricoverare braccianti e bestie, e ad immagazzinare i prodotti; tali edifici ricevettero i nomi più diversi a seconda delle regioni, e fra gli altri quello di grangia, sinonimo di granaio. Proprio questi edifici offrirono nei secoli successivi un punto d'appoggio per quei proprietari che, reagendo alla ten­denza dominante, cercavano di accorpare una proprietà più ampia e com­patta; questa politica fu seguita in un primo momento soprattutto da abba­zie e priorati cistercensi, che disponevano della manodopera a buon mer­cato garantita dai conversi, e che sfuggivano programmaticamente i luoghi di troppo denso insediamento, ricercando la solitudine rurale. Le grange cistercensi, che conobbero il massimo successo nei secoli XIII e XIV, rap­presentano quindi il primo modello di azienda agricola compatta, accorpa­ta intorno a un centro di gestione padronale, in reazione alla parcellizzazione dei fondi; il loro esempio aprì la via al successivo, e molto più ampio, processo di appoderamento*, che ovunque, negli ultimi secoli del Medioevo, avrebbe trasformato in profondità il paesaggio agrario (A.BARBERO - C. FRUGONI, Dizionario del Medioevo, Milano, 1998, pp. 139-140).

[lxxvi][lxxvi] Per siffatti senodochi, ospizi gratuiti per i forestieri e i pellegrini infermi, rimando a: A. DE SANTIS, Le chiese del territorio di Castelforte e SS. Cosma e Damiano. Notizie estratte dalle visite pastorali (1625‑1859), in « Bollettino dell'Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale », n. III ‑ 1965, p. 32.

[lxxvii][lxxvii] A. De Santis, I comuni della provincia di Caserta che hanno cambiato denominazione ecc. pag. 18-19.

[lxxviii][lxxviii]  CDC, I, 247.

[lxxix][lxxix]  G. Conte Colino, Storia di Fondi, Napoli, Giannini, 1902, pag. 275.

[lxxx][lxxx] C.D.C., III, 1, c. 447, a. 1327, p. 62

[lxxxi][lxxxi] C.D.C., III, 1, c. 470, a. 1344, pp. 105-106.

[lxxxii][lxxxii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxiii][lxxxiii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxiv][lxxxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxv][lxxxv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxvi][lxxxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxvii][lxxxvii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[lxxxviii][lxxxviii] Ibid.

[lxxxix][lxxxix] C.D.C., III, 2, c. 565, a. 1381, pp. 6-7.

[xc][xc] Angelo De Santis, Gli statuti della Terra Aurunca. Lo statuto di Itri, riedizione a cura del Centro Storico Culturale "Andrea Mattei", Formia 1980-81.

[xci][xci] M. COLAGUORI, Itri, storia e leggenda, Gaeta 1977, pag. 17.

[xcii][xcii] Caetani, Reg. Chart., II, 217.

[xciii][xciii] Acta S. Visitationis factae in anno 1722 a Carolo Pignatelli episcopo Cajetano, p. 182 del ms. conservato nella Curia di Gaeta.

[xciv][xciv] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[xcv][xcv] A. DE SANTIS, Lo Statuto di Itri, p. 10.

[xcvi][xcvi] C.D.C., III, 1, c. 479, a. 1353, pp. 123-124.

[xcvii][xcvii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni,        VII, 1971-1972, pp. 107-122.       

[xcviii][xcviii] Per la bibliografia sui templi sotto il titolo dell'Annunziata, tralasciando altra bibliografia, si può vedere: Per Gaeta: S. FERRARO, Memorie religiose e civili della città di Gaeta, Napoli, 1903; O. GAETANI D'ARAGONA, Memorie storiche della città di Gaeta, Caserta, 1885, p. 234 e ss.; N. ALETTA, Gaeta. Guida storico-artistica-archeologica, Gaeta, 1931, p. 110 e ss.

Per Minturno: A. OTTAVIANO QUINTAVALLE, Appunti di pittura napoletana nell'Annunziata di Minturno, in "Boll. d'arte del Min. dell'Ed. Naz.", n. 10, aprile 1936, p. 470-87.

Per Sessa Aurunca: G. M. DIAMARE, Memorie critico storiche della Chiesa di Sessa Aurunca, parte II, Napoli 1907, pp. 144 e segg.).

[xcix][xcix] C.D.C., III, 1, c. 483, a. 1355, pp. 133-135.

[c][c] C.D.C. III, 1, c. 496, a. 1363, p. 159.

[ci][ci] C.D.C., III, 1, c. 494, a. 1363, pp. 155-156.

[cii][cii] C.D.C., III, 1, c. 540, a. 1374, pp. 251-253.

[ciii][ciii] C.D.C., III, 1, c. 559, a. 1379, pp. 295-297.

[civ][civ] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[cv][cv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[cvi][cvi] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[cvii][cvii] C.D.C., III, 1, c. 430, a. 1306, p. 9.

[cviii][cviii] C.D.C., III, 1, c. 489, a. 1361, pp. 146-148.

[cix][cix] C.D.C., III, 1, nota n. 2, p. 148.

[cx][cx] C.D.C., III, 2, nota n. 1, p. 10.

[cxi][cxi] C.D.C., III, 1, c. 538, a. 1373, pp. 246-48.

[cxii][cxii] T. LECCISOTTI, Documenti Vaticani, pp. 16-17.

[cxiii][cxiii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[cxiv][cxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[cxv][cxv] Per la badia dei SS. Erasmo e Leonardo, la chiesa dello Spirito Santo e il Calcagnini, il quale fu poi vescovo di Atri e Penne, A. DE SANTIS, Commende cardinalizie nella diocesi di Gaeta, in « Benedictina », a. XI, luglio ‑ dic. 1957, fasc. III ‑ IV, pp. 324‑25. Anche nel Borgo di Gaeta, nel distretto della parrocchia di S. Cosma, esisteva un ospizio dell'Ospedale maggiore di S. Spirito di Roma, con una chiesa dedicata allo Spirito Santo (O. GAETANI d'ARAGONA, Memorie storiche della città di Gaeta, Caserta 1885, pp. 216 e 374; S. FERRARO, Memorie religiose e civili della città di Gaeta, Napoli 1903, p. 249). Anche in una visita del 5 marzo 1625 è riportata la chiesa dello Spirito Santo con gli altari di S. Geronimo e della Consolazione,.

[cxvi][cxvi] C.D.C., II, c. 287, a. 1111.

[cxvii][cxvii] C.D.C., III, 1, c. 515, a. 1367, pp. 189-196. Per i particolari si veda la voce: Chiesa di S. Maria Maggiore.

[cxviii][cxviii] C.D.C., III, 1, c. 544, a. 1375, pp. 266-267.

[cxix][cxix] C.D.C., III, 2, c. 588, a. 1388, pp. 61-63

                                                                      

[1][i] Ignazio Lombardini, "Maria della Civita!…", Casamari, 1976. Ma è fratello Bartolomeo.

[1][ii] Riportato da: P. CHERUBINO NICOLA DI FEO, Brevi Cenni Storici; in: M. FABRIZIO, Itri, la storia attraverso le immagini, Itri, 1998, p. 43.

[1][iii] Dalla Presentazione di MARISA DE SPAGNOLIS, Ispettore archeologo della Soprintendenza Archeologica del Lazio, al volume anastatico curato da M. FABRIZIO, Historia della S.ma Madonna d'Itria o di Costantinopoli scritta dal Molto illust. Signor. Michel'Angelo di Arezzo, Napoli 1633, p. 10.

[1][iv] L'opera più completa sulla storia di questo santuario itrano resta tuttora: E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo Santuario, ripr. anast. a cura di Alfredo Saccoccio, Latina 1986.

[1][v] C.D.C., II, c. 338, a. 1147, p. 272.

[1][vi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][vii] Sulla chiesa della Civita: E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo santuario. Tradizioni e memorie, Città di Castello 1916; GIO. BATTISTA PICCIRILLI, Storia dell'insigne santuario di Santa Maria della Civita ecc. Napoli 1857 e 1893; GIUS. FANCHIOTTI, Appunti storici: il Santuario della Civita e la Terra d'Itri, Londra 1896; S. MONTORIO, Zodiaco di Maria ecc, Napoli 1715, pp. 141‑46.

[1][viii] Per i benefici delle chiese di Itri e di Sperlonga si vedano gli scritti di A. DE SANTIS: Del vescovato e della diocesi di Gaeta nell'ultimo decennio del '500, in: « Rivista di storia della Chiesa in Italia», a. IV, n. 2, maggio ‑ agosto 1950, pp. 276‑77; Le decime pagate dalla diocesi di Gaeta nel 1661, in: «Economia Pontina», n. 4, aprile 1965; Itri alla fine del seicento, ibid. n. 11, novembre 1967; Sperlonga duecentosettantadue anni fa, ibid. n. 1., gennaio 1962. Alla fine del 700 o nei primi anni dell'800 Itri e Sperlonga avevano rispettivamente all'incirca ab. 4.400 e 1.200 (L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico‑ragionato del Regno di Napoli, V, 1802, pp. 184‑186; IX, 1805, p. 96). Per altre notizie su Itri, ancora gli scritti di A. DE SANTIS: Lo statuto di Itri, in « Accademie e biblioteche d'Italia », a. XX, 1952, n. 3‑4; il capi­tolo Itri, in Circeo ‑ Terracina ‑ Fondi di S. AURIGEMMA, A. BIAN­CHINI, A. DE SANTIS, nella collezione « Itinerari dei Musei, Gallerie e Monumenti d'Italia », Roma, Istit. Poligr. d. Stato, 2^ ediz. 1966. Per le condizioni delle sue chiese maggiori, la monografia Lazio del T.C.I., Milano, 1964, p. 536; in particolare per i campanili, oltre mons. A. SERAFINI, il quale ha trattato delle Torri campanarie di Roma e del Lazio nel medioevo ecc. Roma, 1927: Fr. SANGUINETTI, Nota sul campa­nile di Santa Maria ad Itri, in «Quaderni dell'Istituto di storia dell'archi­tettura», agosto 1955, n. 12, pp. 17‑18; R. PERROTTI, Il campanile di S. Michele Arcangelo in Itri, Roma, Arti grafiche Bruno Fogari, 1959.

[1][ix] E. IALLONGHI, La Madonna della Civita ecc. p. 208 in nota.

[1][x] C.D.C., III, 1, c. 450, a. 1329, pp. 68-69

[1][xi] Questo termine è attestato tuttora in San Castrese, frazione di Sessa Aurunca dove era attiva una prepositura cassinese.

[1][xii] P. CAYRO, Storia Civile e Religiosa della Diocesi di Aquino, ristampa anastatica, Pontecorvo 1981, pp. 93-122.

[1][xiii] Sacra Visitatio totius Fundanae dioecesis ab... Joanne Bap.ta Comparini peracta. Anno 1599, a cura di D. Lo Sordo, C. Macaro, G. Pesiri, I, Marina di Minturno, 1981, pp. 77-78.

[1][xiv] Ibid., p. 34.

[1][xv] M. de' Spagnolis, Itri, edizioni di Odisseo, Itri, 1977, pag. 50, con foto.

[1][xvi] C.D.C., III, 1, c. 473, a. 1348, pp. 113-114.

[1][xvii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[1][xviii] Diamo una breve bibliografia sull'argomento:  A. SACCOCCIO, Itri, guida storico-turistica, Gaeta, 1977; M. de’ Spagnolis, Itri, Itri, 1977; I. LOMBARDINI, Maria della Civita!..., Casamari, 1976; E. DE MINICIS, La chiesa di S. Cristoforo nel territorio di Itri, in: Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale,  n. X, fasc. 1-2, Roma, 1978; G. CAPPA BAVA-S.JACOMUZZI, Del come riconoscere i santi, Torino, 1993; J. C. SCHMITT, Il santo levriero guaritore di bambini, Torino, 1982; Codex Diplomaticus Cajetanus, Pars III, I, Montis Casini, 1958.

[1][xix] C. MINIERI RICCIO, Notizie storiche, p. 34.

[1][xx] C.D.C., III, 1, c. 470, a. 1344, pp. 105-106.

[1][xxi] C.D.C., III, 1, c. 474, a. 1349, pp. 115-116.

[1][xxii] C.D.C., III, 1, c. 490, a. 1362, pp. 148-49.

[1][xxiii] C.D.C., III, 2, c. 590, a. 1389, pp. 65-67.

[1][xxiv] C.D.C., III, 2, c. 622, a. 1398, pp. 142-143.

[1][xxv] Repertorio pergam. Gaeta, p. 283, a. 1606.

[1][xxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][xxvii] WADDING, Annales Minorum, VII, 41, anno 1324; riportato da: A. DE SANTIS, Statuto di Itri.

[1][xxviii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[1][xxix] C.D.C., III, 1, c. 515, a. 1367, pp. 189-196

[1][xxx] C.D.C., III, 2, c. 588, a. 1388, pp. 61-63

[1][xxxi] C.D.C., III, 2, c. 605, a. 1393, pp. 107-108.

[1][xxxii] C.D.C., II, ch. 338, a. 1147, pag. 272.

[1][xxxiii] C.D.C., I, ch. 165, anno 1036, pag. 325.

[1][xxxiv] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[1][xxxv] E. JALLONGHI, La Madonna della Civita e il suo Santuario, Latina 1986, ripr. anast. a cura di Alfredo Saccoccio, p. 88.

[1][xxxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][xxxvii] C.D.C. II, a. 1128, doc. 315, p. 237‑38.

[1][xxxviii] P. CAYRO, Storia Civile e Religiosa della Diocesi di Aquino, ristampa, Pontecorvo 1981, pp. 490-191.

[1][xxxix] Segn. Num. 119, pag. 122. Riferimenti riportati dal Cayro.

[1][xl] Segn. Num. CXXVII, ibid.

[1][xli] Segn. Num. CXI, pag. 208, ibid.

[1][xlii] Segn. Num. CXVII, pag. 117, ibid.

[1][xliii] Segn. Num. CCCCLXVI, pag. 80, ibid.

[1][xliv] C.D.C., II, c. 287, a. 1111.

[1][xlv] CDC, III, a. 1283, doc

[1][xlvi] CDC, III, a. 1383, doc. 561

[1][xlvii] C.D.C., III, 2, c. 576, a. 1383, pp. 32-34.

[1][xlviii] C.D.C., III, 2, c. 643, a. 1283, pp. 180-181.

[1][xlix] C.D.C., III, 1, c. 474, a. 1349, pp. 115-116.

[1][l] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][li] C.D.C., III, 1, c. 427, a.1301, p. 4.

[1][lii] In: Repertoire topo-bibliographique des abbayes et prieures, 1470.

[1][liii] C.D.C., III, 1, c. 430, a. 1306, p. 9.

[1][liv] C.D.C. III, 1, c. 431, a. 1307, p. 20

[1][lv] C.D.C., II, doc. 320, a. 1131, p. 245.

[1][lvi] C.D.C., II, doc. 342, a. 1135, pp. 278-279.

[1][lvii] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[1][lviii] C.D.C., II, c. 351, a. 1170, p. 293.

[1][lix] C.D.D., III, 1, c. 505, a. 1364, pp. 168-172

[1][lx] C.D.C., III, 1, c. 427, a. 1301, p. 4-5.

[1][lxi] C.D.C., III, 1, c. 518, a. 1368, pp. 202-203.

[1][lxii] C.D.C., III, 1, c. 519, a. 1368, pp. 204-206

[1][lxiii] AMANTE-BIANCHI, Memorie... di Fondi, p. 309, n. 1

[1][lxiv] Riportato in nota 1 del C.D.C., III, 1, p. 308.

[1][lxv] C.D.C., III, 2, c. 567, a. 1382, p. 10-11.

[1][lxvi] C.D.C., III, 2, c. 597, a. 1391, pp. 82-85.

[1][lxvii] C.D.C., III, 2, c. 605, a. 1393, pp. 107-108.

[1][lxviii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxix] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxx] Citiamo da A. De Santis: "Nelle Constitutiones dioecesanae synodi del vescovo Pergamo, 1779 (Napoli, 1785) figurano per Itri le chiese di S. Michele Arc., S. Maria Maggiore, A.G,P., S. Martino, la Civita, e per Sperlonga S. Maria in Cielo Assunta, pp. 157‑58. Il ricordo di alcune chiese itrane nel sec. XV: una casa de la ecclesia de Sancta Maria ‑ lo burgo dove se dice Sancto Lonardo ‑ li boni de la ecclesia de Sancto Spiritu ‑ una cappella Sancti Honufrii ... in la ecclesia de Sancto Angelo ecc. (Inventarium Honorati Gaytani, del 1491, pp. 134 ‑ 36, pubblicazione ancora riservata presso la Bibl. Apost. Vaticana; anche li heredi di misser Antonio o Antone de Arecze, pp. 135 e 137. In Sperlonga, la ecclesia de Sancto Antone, la eccle­sia de Sancta Maria de Spelonga, ibid. pp. 128 e 131). Per il XIV secolo, Codex diplom. Cajetanus, pars. III, Montecassino 1960, s. indice. Una chiesa di S. Nicola nella vallata sotto Campello esistente già nel 958, come nel cit. Cod. dipl. Caiet. I, 109. Inoltre, il monastero di S. Erasmo di Itri pagava nei primi anni del sec. XIV oncia 1 e tari 6. Rationes deci­marum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, a cura di M. Inguanez, L. Mattei Cerasoli, P. Sella, Città del Vaticano, 1942, p. 11. « Studi e testi 97 ». Per Itri, si veda il mio scritto Le chiese di Minturno, Formia e Itri alla metà del settecento in una visita del vescovo di Gaeta mons. Carmi­gnani, in « Economia Pontina », luglio 1971".

[1][lxxi] A. DE SANTIS, Le chiese del territorio di Castelforte e SS. Cosma e Damiano nel basso Garigliano, in: "Bollettino dell'Istituto di storia e di Arte del Lazio Meridionale", fasc. III, 1965, nota 4, pag. 32.

[1][lxxii] T. DE MASI DEL PEZZO, Memorie istoriche degli Aurunci... e delle loro principali città Aurunca e Sessa, Napoli, 1761, p. 281.

[1][lxxiii] DE MASI, op. cit., p. 282; L. SACCO, L'antichissima Sessa Pometia. Discorso istorico, Napoli, 1640, p. 68.

         [1][lxxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

 

[1][lxxv] Grangia. Dal francese antico granche, «granaio». La crescita demografi­ca dell'XI secolo provocò, fra gli altri effetti, la dissoluzione del manso, inteso come fondamentale unità di conduzione agricola nel quadro della villa o curtis: là dove, al tempo di Carlo Magno, viveva una sola famiglia contadina, ora, grazie alla maggior quantità di attrezzi, a qualche innova­zione tecnologica, e soprattutto a uno sfruttamento più intensivo delle aree precedentemente incolte, riuscivano a vivere sia pure a fatica molte fami­glie. Perciò il manso si frantumò, e con esso scomparve l'organizzazione curtense; la grande proprietà si frazionò in innumerevoli parcelle, concesse in affitto a una moltitudine di affittuari. Quasi tutti i grandi proprietari, tut­tavia, conservarono qualche prato, campo o vigna sotto la propria gestione diretta, e soprattutto continuarono a possedere qualche edificio rurale atto a ricoverare braccianti e bestie, e ad immagazzinare i prodotti; tali edifici ricevettero i nomi più diversi a seconda delle regioni, e fra gli altri quello di grangia, sinonimo di granaio. Proprio questi edifici offrirono nei secoli successivi un punto d'appoggio per quei proprietari che, reagendo alla ten­denza dominante, cercavano di accorpare una proprietà più ampia e com­patta; questa politica fu seguita in un primo momento soprattutto da abba­zie e priorati cistercensi, che disponevano della manodopera a buon mer­cato garantita dai conversi, e che sfuggivano programmaticamente i luoghi di troppo denso insediamento, ricercando la solitudine rurale. Le grange cistercensi, che conobbero il massimo successo nei secoli XIII e XIV, rap­presentano quindi il primo modello di azienda agricola compatta, accorpa­ta intorno a un centro di gestione padronale, in reazione alla parcellizzazione dei fondi; il loro esempio aprì la via al successivo, e molto più ampio, processo di appoderamento*, che ovunque, negli ultimi secoli del Medioevo, avrebbe trasformato in profondità il paesaggio agrario (A.BARBERO - C. FRUGONI, Dizionario del Medioevo, Milano, 1998, pp. 139-140).

[1][lxxvi] Per siffatti senodochi, ospizi gratuiti per i forestieri e i pellegrini infermi, rimando a: A. DE SANTIS, Le chiese del territorio di Castelforte e SS. Cosma e Damiano. Notizie estratte dalle visite pastorali (1625‑1859), in « Bollettino dell'Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale », n. III ‑ 1965, p. 32.

[1][lxxvii] A. De Santis, I comuni della provincia di Caserta che hanno cambiato denominazione ecc. pag. 18-19.

[1][lxxviii]  CDC, I, 247.

[1][lxxix]  G. Conte Colino, Storia di Fondi, Napoli, Giannini, 1902, pag. 275.

[1][lxxx] C.D.C., III, 1, c. 447, a. 1327, p. 62

[1][lxxxi] C.D.C., III, 1, c. 470, a. 1344, pp. 105-106.

[1][lxxxii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxiii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxvi] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxvii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][lxxxviii] Ibid.

[1][lxxxix] C.D.C., III, 2, c. 565, a. 1381, pp. 6-7.

[1][xc] Angelo De Santis, Gli statuti della Terra Aurunca. Lo statuto di Itri, riedizione a cura del Centro Storico Culturale "Andrea Mattei", Formia 1980-81.

[1][xci] M. COLAGUORI, Itri, storia e leggenda, Gaeta 1977, pag. 17.

[1][xcii] Caetani, Reg. Chart., II, 217.

[1][xciii] Acta S. Visitationis factae in anno 1722 a Carolo Pignatelli episcopo Cajetano, p. 182 del ms. conservato nella Curia di Gaeta.

[1][xciv] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[1][xcv] A. DE SANTIS, Lo Statuto di Itri, p. 10.

[1][xcvi] C.D.C., III, 1, c. 479, a. 1353, pp. 123-124.

[1][xcvii] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni,        VII, 1971-1972, pp. 107-122.       

[1][xcviii] Per la bibliografia sui templi sotto il titolo dell'Annunziata, tralasciando altra bibliografia, si può vedere: Per Gaeta: S. FERRARO, Memorie religiose e civili della città di Gaeta, Napoli, 1903; O. GAETANI D'ARAGONA, Memorie storiche della città di Gaeta, Caserta, 1885, p. 234 e ss.; N. ALETTA, Gaeta. Guida storico-artistica-archeologica, Gaeta, 1931, p. 110 e ss.

Per Minturno: A. OTTAVIANO QUINTAVALLE, Appunti di pittura napoletana nell'Annunziata di Minturno, in "Boll. d'arte del Min. dell'Ed. Naz.", n. 10, aprile 1936, p. 470-87.

Per Sessa Aurunca: G. M. DIAMARE, Memorie critico storiche della Chiesa di Sessa Aurunca, parte II, Napoli 1907, pp. 144 e segg.).

[1][xcix] C.D.C., III, 1, c. 483, a. 1355, pp. 133-135.

[1][c] C.D.C. III, 1, c. 496, a. 1363, p. 159.

[1][ci] C.D.C., III, 1, c. 494, a. 1363, pp. 155-156.

[1][cii] C.D.C., III, 1, c. 540, a. 1374, pp. 251-253.

[1][ciii] C.D.C., III, 1, c. 559, a. 1379, pp. 295-297.

[1][civ] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][cv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][cvi] C.D.C., II, c. 345, a. 1158, p. 282.

[1][cvii] C.D.C., III, 1, c. 430, a. 1306, p. 9.

[1][cviii] C.D.C., III, 1, c. 489, a. 1361, pp. 146-148.

[1][cix] C.D.C., III, 1, nota n. 2, p. 148.

[1][cx] C.D.C., III, 2, nota n. 1, p. 10.

[1][cxi] C.D.C., III, 1, c. 538, a. 1373, pp. 246-48.

[1][cxii] T. LECCISOTTI, Documenti Vaticani, pp. 16-17.

[1][cxiii] C.D.C., II, 1, c. 492, a. 1363, pp. 152-53.

[1][cxiv] A. DE SANTIS, Le chiese di Itri e Sperlonga nel Settecento, Bollettino dell'ISALM, Roma - Anagni, VII, 1971-1972, pp. 107-122.

[1][cxv] Per la badia dei SS. Erasmo e Leonardo, la chiesa dello Spirito Santo e il Calcagnini, il quale fu poi vescovo di Atri e Penne, A. DE SANTIS, Commende cardinalizie nella diocesi di Gaeta, in « Benedictina », a. XI, luglio ‑ dic. 1957, fasc. III ‑ IV, pp. 324‑25. Anche nel Borgo di Gaeta, nel distretto della parrocchia di S. Cosma, esisteva un ospizio dell'Ospedale maggiore di S. Spirito di Roma, con una chiesa dedicata allo Spirito Santo (O. GAETANI d'ARAGONA, Memorie storiche della città di Gaeta, Caserta 1885, pp. 216 e 374; S. FERRARO, Memorie religiose e civili della città di Gaeta, Napoli 1903, p. 249). Anche in una visita del 5 marzo 1625 è riportata la chiesa dello Spirito Santo con gli altari di S. Geronimo e della Consolazione,.

[1][cxvi] C.D.C., II, c. 287, a. 1111.

[1][cxvii] C.D.C., III, 1, c. 515, a. 1367, pp. 189-196. Per i particolari si veda la voce: Chiesa di S. Maria Maggiore.

[1][cxviii] C.D.C., III, 1, c. 544, a. 1375, pp. 266-267.

[1][cxix] C.D.C., III, 2, c. 588, a. 1388, pp. 61-63

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(Questa ricerca può essere parzialmente utilizzata per uso di studio e ricerca, citando la fonte: Cece Albino, Tutte le chiese di Itri, nel sito Internet www.visitaitri.it)

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