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PREMIO LETTERARIO OGGI & DOMANI

2005

 

Racconto meritevole di pubblicazione autore: Pino Pecchia

 

 

                                                             Ai miei genitori

 

 

La guerra! E il dopo guerra?

 

I media la rilanciano giornalmente con servizi, inviati da più parti del globo. Entra nelle case, come una delle tante notizie raccolte dalle testate televisive, spesso note d’agenzia che fanno il giro del mondo. La gente è assuefatta. Si commuove vedendo le spoglie di nostri connazionali tornare in patria in una bara, avvolta dal tricolore. È questione di poco, il tempo di sapere. L’indifferenza riprende il sopravvento. Non c’è tempo per riflettere sulla guerra, se lo fanno pensano che è lontana, e che ne siamo fuori. Ma è proprio così? Ho bisogno di notizie per il mio giornale. Sulla guerra e sul dopo.

 

 Mi hanno assicurato che lui può darmele con alcuni particolari, sul dopo. L’approccio è amichevole.

  - C’è una minoranza silenziosa, vecchia ormai, che il tempo ha tacitato, ha timore di parlarne. Tante le sofferenze patite, ne portano ancora i segni, nel fisico e nell’animo, ma tacciono. Per pudore.  Io ho vissuto quei momenti con gli occhi innocenti di un bambino, sembrava un gioco.

Il tono della voce è sereno. Solo un filo d’emozione. Non lo interrompo, ha voglia di parlare.          

  - Ero lì, sfollato sui Monti Aurunci. Guardavo naso all’insù gli aeroplani che volteggiavano sulla mia testa, sembrava un gioco, poi il rumore degli scoppi.

Le mani amorose dei miei che, prima mi ghermivano per portarmi in salvo, e... poi lasciavano il segno! La paura prendeva il sopravvento. Non era più un gioco! Non capivo, come potevo, avevo quattro anni, pochi, troppo pochi.

   Sembrano spezzoni di immagini sbiadite, salvate in un remoto angolo della memoria.

  - La guerra!

Ripete scuotendo ancora la testa.  Ha dell’altro dentro.

 - Tanto tempo fa, lo ricordano solo gli anziani.

 - Quanti anni fa?

 - Cinquantacinque.

 - Tanti!

 - Come fosse ieri.

 - La guerra?

 - No.

 - E cosa?

 - Il dopo guerra...

Tace. Lo sguardo è assente, sembra scrutare l’orizzonte. Là dove i sentimenti hanno la loro frontiera oltre la quale non è possibile far nulla.

Prosegue.

  - Tu non sai cos’è stato il dopo guerra, sei giovane, altri tempi!

Mi incuriosisce, credo voglia estrarre dal sacco dei ricordi qualcosa che è una triste realtà. Mi guarda, gli faccio cenno di continuare.

 - Sei sicuro di voler ascoltare una storia sulla quale il tempo ha steso un pietoso velo?

 - Raccontare fa bene, solleva l’animo. 

 - Sarà!

 - Dài, racconta!

 - Tutto cominciò un giorno di luglio del 1950. Una giornata frizzante, di quelle che ti danno la gioia di vivere.  Un gruppo festoso di ragazzi della stessa età che scorrazzavano in un bosco che sapeva di fragole e di resina... i boschi lussureggianti dell’Abetone. Una volta le chiamavano colonie. Per noi era un paradiso... un mese da trascorrere spensieratamente: dimenticare gli anni terribili della prima infanzia, fatta di privazioni e di paure... per la guerra!   

 Una generazione poco fortunata la nostra...!

Giocavamo. Un tiro mancino di un paio di toscani, continuamente in lotta con noi laziali, mi fece fare un brutto capitombolo. Lussazione del braccio sinistro, diagnosticarono i medici di S. Marcello Pistoiese. Da ingessare. Conobbi l’ebbrezza dell’etere. Mi risvegliai con un braccio che pesava più di me! Ancora un giorno e poi il ritorno tra quei ragazzi. L’amicizia ritrovata dalle due fazioni per l’incidente, poi gli ultimi spensierati giorni, la paura del ritorno; di come l’avrebbero presa i miei.

 - Ma la guerra che c’entra?

 - C’entra. Ci voleva il preambolo.

 - Perché?

 - Perché a volte non si può sfuggire a qualcosa che è scritto nel libro della vita.

 - Filosofo?

 - Senti il resto! Fu quel gesso, e il gioco spensierato di ragazzi, a segnare per il resto della vita me e la mia famiglia.

   Fa una pausa, come a raccogliere gli avvenimenti in modo ordinato. Poi continua.

- Fondi non si smentì quel 22 agosto del ’50, faceva un gran caldo. Il solleone picchiava inesorabile, già alle undici del mattino, su tutta  

  la piana. Era giunto il tempo della rimozione del gesso. Il prurito e il calore erano diventati insopportabili.

L’ incombenza spettava al locale ospedale. Giorno di operazioni, risposero a mio padre. Bisognava passare in settimana. Pazienza! Disse rassegnato, ringraziando con il suo fare gentile il medico di turno. Avesse fatto la pur minima resistenza, chissà, avrebbe allontanato l’appuntamento con il dramma che ci aspettava di lì a poco. Il teatro fu il salotto buono che oggi Fondi offre ai suoi abitanti, proprio davanti all’ex chiesa di san Rocco senza tetto, distrutto dai bombardamenti aerei.

 - Cosa è accaduto?   

 - La tragedia!... Per i miei, questa parola ha avuto sempre un significato ben definito. La nostra tragedia! Simile a tante, purtroppo, che sconvolsero l’Italia dopo il secondo  conflitto mondiale. Il dolore di centinaia di italiani, spesso ragazzi come me, segnati da tragedie personali. Le chiamavano le vittime civili di guerra, durante il periodo bellico e dopo. Le prime sono ricordate nelle ricorrenze, come questo anno in occasione del 60° anniversario della liberazione; delle seconde si è perso la memoria!

  - I dettagli?

  - Dopo il rifiuto di rimuovere il gesso in ospedale, la spesa al mercato giornaliero davanti il castello, poi con mia madre e mio padre che teneva sulle braccia mia sorella di tre anni, ci avviammo verso casa. Era lì a meno di cinquanta metri. Impiegammo sette giorni

per percorrerli. Tanto fu il periodo di degenza in ospedale. Non ritornammo in quattro, come ne eravamo usciti. Ma in tre. Mancava mia sorella.

  - Perché?

  - La tragedia...!

Lo vedo raccattare i ricordi sparsi per la mente. Un velo di malinconia nella voce, che perde di tono, un groppo, quello dei momenti che non vorresti ricordare; che ti hanno segnato la vita.

  - Continua, gli dico.

  - Fu questione di attimi, appena il tempo di voltarmi, impaurito da un’esclamazione di mia madre: stai accorto c’è un camion con bandiere rosse; un boato scosse i ruderi di san Rocco, eravamo proprio lì di fianco. Appena qualche metro. Fondi a distanza di

pochi anni riviveva, tramite la mia famiglia ed alcuni concittadini, il dramma della guerra. Fu una gara di solidarietà da parte dei fondani, è bene dirlo. Mai dimenticato! In pochi minuti braccia pietose si avvicendarono, per trasportarci al vecchio S. Giovanni di Dio. Una distanza notevole fatta a piedi. Faticosa per i soccorritori. Sentivo il respiro affannoso mentre mi trasportavano! Voci concitate che  urlavano di far presto.

Non tutti arrivammo all’ospedale. Mia sorella finì in una clinica privata, poco distante. Spirò, seppi dopo, alle tre di quel 22 agosto. Uno spezzone di quel proiettile maledetto le aveva trapassato un polmone.

Fece da scudo, dissero, a mio padre che la teneva in braccio. Tutta Fondi si strinse attorno ai miei il giorno del funerale. Io rimasi in ospedale. Non ho memoria di quel giorno, se non quello che sentii raccontare.  Un destino avverso per mia sorella, “Recisa come un fiore quando appena aveva aperto la mente e il cuore al primo innocente amore dei genitori e di Dio”, recita la scritta sulla lapide di bianco “Carrara”, che resiste da allora, al tempo e alle intemperie. Un fiore che non è mai appassito per tutti noi!

  - Te la senti di proseguire?

  - Lo faccio sempre a fatica.

  - I miei rimasero feriti con le  schegge di quel proiettile, in varie parti del corpo. Dopo mia sorella, a rimetterci fisicamente fui io: la perdita in parte della vista. Un dramma si era concluso (mia sorella), iniziava quello per chi restava!

  - Come è potuta accadere una cosa del genere?

  - Era l’appendice di quella guerra.

  - Non era un periodo convulso, la guerra era finita da vari anni!

  - Vero. Ma le condizioni erano ancora di precarietà, mista a incoscienza.

  - Cosa vuol dire precarietà?

  - Per sentito dire, tutto e niente. Dal comportamento della gente. Dalla diffusa libertà che si faceva dei diritti e dei doveri sanciti dalla neonata Repubblica.

Fu accertato che l’autocarro che trasportava i residuati bellici, attraversò Fondi percorrendo tutto Corso Appio Claudio, si fermò all’altezza del mercato, gli artificieri ne scesero, acquistarono della frutta in Piazza Matteotti e poi ripartirono. Lo scoppio si verificò nei cinquanta metri successivi! Cosa sarebbe accaduto se si fosse verificato vicino al mercato, te lo lascio immaginare!  Oggi sarebbe impossibile che due sciagurati attraversino il centro della città, norme viarie permettendo, con un carico di morte, come

hanno fatto loro. Le autorità competenti e le forze dell’ordine non permetterebbero mai una cosa del genere. Per la bomba ritrovata a Formia, roba di questi giorni, è stata disposta l’evacuazione di dodicimila abitanti per motivi di sicurezza, fino al brillamento. Ecco perché parlavo di precarietà.

  - Un eufemismo?

  - Pensala come credi!

  - Non mi hai ancora spiegato la dinamica dell’incidente, o se almeno hai sentito raccontarla.

Altro che! Con il passare degli anni, sono diventato un esperto.

  - Racconta!

  - Per i miei genitori, al dramma per le incongruenze della giustizia o chi per essa, si aggiunse la beffa.

  - Cosa c’entra la giustizia?

  - C’entra, eccome!

  - Consigliati da persone edotte, i miei, gente semplice, si rivolsero ad un principe del foro, com’era considerato. Il foro per dieci anni lo procurò alle tasche di mio padre. Un uomo di una onestà cristallina, alla quale univa un rispetto sacrale per il lavoro e per il prossimo. Ripeto, a lui e a mia madre andò la solidarietà dell’intera comunità fondana; benvoluto da tutti, lui che aveva le radici in quel di Campodimele. Oggi delizioso luogo di riposo e salotto culturale del sud-pontino nel periodo estivo.

  - Dicevi del principe.

  - Imbastì una causa, con la costituzione di parte civile della mia famiglia, contro lo Stato, nel 1950! Per anni inviò cartoline di partecipazione, che chiedevano acconti sempre più consistenti per proseguire nelle varie fasi del procedimento. Gli anni passavano, non avevo più dieci anni, i ricordi delle udienze cui partecipai, sono diretti!

La prima sentenza fu di condanna per i due sminatori che cambiarono la vita della mia famiglia: otto mesi, per omicidio colposo! Più una somma da pagare come risarcimento ai miei e le spese di causa.

  - Omicidio colposo?

  - Proprio così, omicidio colposo!

  - Furono appurati i fatti?

  - Credo che ci avessero provato.

  - Perché dici credi?

  - La sentenza di primo grado, vista a posteriori, dimostra come i giudici, pur avendo acquisito notizie e informazioni dai rapporti delle forze dell’ordine e dai testimoni  intervenuti per soccorrere i feriti, hanno deciso per l’omicidio colposo. Circolavano liberamente, gli sminatori, nessuno li aveva autorizzati ad attraversare il centro abitato, ma nemmeno lo avevano impedito! C’erano, quindi, delle precise responsabilità.

  - C’è stata superficialità da parte di qualcuno?

  - Era opinione diffusa. Inoltre non si tenne conto delle cause che determinarono quel disastro. Fare acquisti al mercato, lasciando l’automezzo incustodito dà l’idea di due persone irresponsabili. Pare che il proiettile, come disse uno degli artificieri, presentasse una lesione dalla quale usciva del fumo causato dal surriscaldamento del fosforo. Durante il dibattimento i periti balistici, giunsero alla conclusione che non sarebbe esploso. Quel giorno i due artificieri titolari erano stati sostituiti da altri due, con ridotte capacità professionali. Questo particolare fu poi accertato in udienza. Il destino, purtroppo, aveva deciso di suo.

Alcuni testimoni dichiararono che l’operaio di fianco all’autista, saltò sul camion gettando l’ordigno bellico a terra. Noi quattro eravamo lì a pochi passi, ci andò bene, sostennero i periti, la vicinanza e la dinamica dello scoppio avrebbe procurato un danno più grave se ci fossimo trovati ad una distanza maggiore.  

  - Pure!

  - È così...

  - Causò altri danni?

Ci furono altri due feriti, piccola cosa. Una corriera che stazionava sotto il castello per il servizio Fondi-Stazione, causa l’esplosione, ebbe tutti i vetri dei finestrini in frantumi. Si trovava a circa cinquanta metri di distanza sotto il castello,  per fortuna a bordo non si trovava nessuno.

  - Come finì la causa civile contro lo Stato?

  - Se mi consenti il detto: è finita a tarallucci e vino.

  - Che vuoi dire!

  - Tutto il rispetto per la giustizia, ma qualcosa non è andato per il verso giusto. 

  - Come mai?

  - E’ difficile credere che una causa vinta in primo grado con prove schiaccianti, appellata dalla controparte, possa concludersi dopo dieci anni avanti la corte d’Appello di Roma, con i giudici che ne dichiarano la prescrizione. 

  - Possibile?

 -  Proprio così! Un risultato più che amaro: offensivo.

Era stato calpestato il diritto, primo fra tutti, di essere genitori, poi la dignità di due esseri umani, che avevano generato quella figlia, strappata in modo così atroce ai loro affetti. Al danno, la beffa. È giustizia? Nessuna condanna, tanto meno il risarcimento per la morte di mia sorella. Venti anni dopo – e Dumas non c’entra niente – a cinquantasette anni, mio padre, dopo la solita trafila burocratica italica, ricevette per quella figlia, una pensione: centotredicimila lire!

C’era di che scialare...!

  - Una vicenda amara!

  - Resa ancora più amara perché tanta ricchezza, non toccò a mia madre alla morte di mio padre!

  - Che dici! La maternità oggi è tutelata, danno incentivi per le nascite.

  - Sarà pure tutelata, a me risulta che quella legge è tuttora in vigore. Il padre ha diritto alla pensione. La madre no! Reddito da pensione reversibile elevato!

  - Torniamo alla causa. Cosa pensi che sia potuto accadere durante la fase di appello?

  - Una probabile negligenza, di chi doveva e non seguì con impegno il compito per cui era stato chiamato. Stranamente non ci furono chiesti ulteriori onorari, per quella fine ingloriosa, dal patrocinante in Cassazione. Un principe del “foro” che non difese - fu il parere di tanti - a sufficienza il dramma di due esseri umani. Mio padre quel dolore l’ha portato con sé nella tomba.

Mia madre, vivente, lo porterà nello stesso loculo, dove per sua volontà, vorrà riposare accanto alle spoglie delle figlia.  Quando il Cielo lo vorrà. Naturalmente!

  - E tu?

  - Io? La mia è un’altra storia... crisi esistenziale a parte, non è stato facile essere associato dalla pietà popolare, per anni, a quel dramma. Senza cattiveria per carità.  Fu una tragedia quella che scosse Fondi, cinquantacinque anni fa! E fu ricordata a lungo.

Il colloquio finisce qui, lo ringrazio, gli occhi sono tornati assenti. Starà cercando di leggere, scrutando oltre l’orizzonte, il libro del destino. Il suo destino.

   È la guerra... dirà qualcuno con distacco, magari facendo spallucce domani, leggendo il servizio. A loro rivolgo il messaggio lapidario che ho colto nel lungo colloquiare con il mio interlocutore: provare per credere!

 

 

 

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